In Giappone, il governo ha recentemente proposto la parziale revoca dei limiti legislativi all’ingresso di stranieri nel Paese. Il Primo ministro conservatore Shinzo Abe ha infatti presentato al parlamento nazionale, a nome dell’esecutivo, un disegno di legge mirante a favorire le assunzioni di lavoratori non-autoctoni. L’ex “Impero del Sol levante” ha finora mantenuto in vigore una normativa tra le più rigide al mondo in materia di immigrazione.
Il Gabinetto Abe ha giustificato la propria scelta di attenuare i limiti posti in passato all’arrivo di lavoratori stranieri presentandola come un mezzo per fronteggiare due gravi problemi del Giappone contemporaneo: il calo delle nascite e il progressivo invecchiamento della popolazione. Secondo il premier di Tokyo, la crisi demografica si starebbe già traducendo in una crescente diminuzione di manodopera. Tale diminuzione starebbe provocando un preoccupante calo della produzione industriale. Il capo del governo ha quindi affermato che sarebbe stata la confederazione nazionale degli imprenditori a sollecitare le autorità affinché venisse rimossa una parte degli ostacoli normativi all’ingresso di lavoratori provenienti dall’estero.
Il piano dell’esecutivo mira a incoraggiare esclusivamente l’arrivo di personale “munito di competenze tecnico-scientifiche affinate in diversi anni di esperienza lavorativa” nonché in possesso di una “conoscenza minima della lingua giapponese”. Agli stranieri che presenteranno i requisiti richiesti dalle autorità del “Sol levante” sarà concesso un “permesso speciale”, grazie al quale tali individui potranno risiedere nel Paese asiatico per “cinque anni”. Tuttavia, per tutta la durata della loro permanenza in Giappone i lavoratori non-autoctoni non potranno farsi raggiungere da membri della rispettiva cerchia familiare. Abe ha comunicato ai leader dei gruppi parlamentari di volere fare entrare nel Paese, mediante la riforma delle leggi sull’immigrazione, 500mila tecnici stranieri, destinati a mettere le proprie competenze al servizio delle industrie nazionali. Secondo indiscrezioni riportate dai giornali nipponici, il Primo ministro, sempre dietro pressioni degli ambienti imprenditoriali, avrebbe in realtà pianificato di accogliere una quota maggiore di manodopera non-autoctona, pari a 2 milioni di individui.
L’apertura del Giappone ai flussi migratori è stata duramente criticata da diversi alti funzionari governativi. Hidenori Sakanaka, ex direttore dell’Ufficio immigrazione costituito presso il ministero dell’Interno nipponico, ha infatti affermato: “La recente riforma avanzata dal Primo ministro rischia di esporre il Paese a gravi rischi. Smantellare dall’oggi al domani il sistema normativo vigente in materia migratoria è una scelta che condannerà il Paese all’immigrazione di massa e pregiudicherà l’omogeneità etnica del nostro popolo”. Avversione nei confronti del piano dell’esecutivo è stata manifestata anche da esponenti dello stesso partito di Abe. Ad esempio, Shintaro Ishihara, importante politico conservatore nonché ex governatore di Tokyo, ha tuonato: “La scelta del Primo ministro è sconcertante. Invece di difendere i diritti della manodopera autoctona, l’esecutivo preferisce consegnare il nostro sistema produttivo a personale proveniente dall’estero.
Il repentino arrivo di migliaia di stranieri nel nostro Paese comporterà inevitabilmente un aumento della criminalità e un inarrestabile calo del livello generale dei salari. Vedremo presto le nostre città in preda alla paura e al degrado. I limiti all’immigrazione rappresentano una garanzia di sopravvivenza per le tradizioni e la prosperità del Giappone. Non vanno assolutamente attenuati.”- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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