I finanziamenti occulti dell’Isis

Lo sforzo bellico del Califfato è sostenuto dai Paesi petroliferi arabi, che pagano un “pizzo” ad al Baghdadi. Sostieni il reportage

I finanziamenti occulti dell’Isis

L’oro nero del Califfato. È il petrolio del Golfo la fonte di ricchezza – e di vita – dell’Isis. Non è una novità che lo Stato Islamico, da tempo, abbia messo le mani su diversi giacimenti in Siria e in Iraq e cavalchi il contrabbando del greggio facendo cassa. Ma c’è qualcosa in più.

I terroristi sfruttano la connivenza dei Paesi petroliferi arabi. Fuad Hussein, capo di gabinetto del presidente Massoud Barzani, racconta all’Independent: “Molti Paesi arabi hanno simpatia per l’Isis. E questa, spesso, si è tradotta in denaro, il che è un disastro”. Lo sforzo bellico del Califfato trova sempre nuova linfa, la stessa che questi Stati – prima – garantivano ai ribelli sunniti in Iraq e in Siria.

La denuncia di Hussein è rivista dall’ex parlamentare Mahmoud Othman, che sostiene altresì l’esistenza di una sorta di tassa tutela e anti-minacce. In sostanza, i produttori di olio minerale pagherebbero una sorta di pizzo ad Abu Bakr al Baghdadi per paura, per non essere attaccati nel proprio territorio (e nei propri giacimenti) dai suoi tagliagole. D’altronde un esercito di circa 100mila guerriglieri, per di più impegnati a combattere su più fronti, non si mantiene con poco: ci pensano, direttamente o indirettamente, i lingotti di oro nero.

Di benzina l’Isis sembra averne eccome: una guerra lunga e su larga scala non li spaventa, anzi è l’obiettivo sbandierato. Ora la Libia, puntando la lama verso Roma, poi la difesa di Mosul, che la coalizione internazionale vuole strappare ad al Baghdadi.

Per fare tutto questo gli uomini e i soldi ci sono: i foreign fighters, stipendiati dall’organizzazione, sono stimati in 20mila e il reclutamento sul territorio – ora allargato anche ai minori di 18 anni – prosegue con successo. Il capitale economico ed umano da immolare non gli manca.

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