Afghanistan, Libia, Siria. Un reporter sempre in prima linea, sempre sul fronte dei conflitti più difficili e pericolosi. Un cronista che era già stato vittima di un rapimento, nell'aprile del 2011, mentre era impegnato a seguire la rivolta che ha rovesciato il leader libico Muammar Gheddafi, ma che non aveva smesso di vedere e raccintare i conflitti in prima persona. James Foley, 40 anni, di cui l'Isis ha rivendicato oggi la decapitazione, aveva una grande passione per il suo lavoro e una grande esperienza, era un veterano del giornalismo di guerra. Ma questo non è bastato a salvargli la vita. Quando è stato rapito in Siria, il 22 novembre 2012 nelle vicinanze di Taftanaz, nella provincia nordoccidentale di Idlib, stava seguendo la guerra civile siriana, iniziata un anno anno e mezzo prima, nella zona più pericolosa. Inviava i suoi reportage al Global Post ed è stato fermato insieme al suo autista e al suo traduttore, che sono poi stati rilasciati, da quattro uomini armati di kalashnikov. Poi si sono perse le sue tracce. Inizialmente la sua famiglia aveva scelto di mantenere il silenzio, sperando che la discrezione aiutasse gli sforzi per raggiungere la sua liberazione. Ma dopo numerose settimane di attesa, ha deciso di cambiare strategia e ha creato un sito (www.freejamesfoley.com), una pagina Facebook e un account Twitter dedicate al rapimento.
Ha iniziato a diffondere foto in cui lo si può vedere al lavoro, con il giubbotto antiproiettile e una telecamera, tra edifici distrutti dalle bombe, o anche in famiglia, a natale, con un cappellino rosso e bianco. E ha messo un contagiorni: da quando è scomparso ne sono trascorsi 636. Fino ad oggi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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