Una barba rada, che si allunga appena sul mento, un abito bianco tradizionale e idee che difficilmente si potrebbe non definire estremiste, Siddhartha Dhar non è un uomo che ci si aspetterebbe di incontrare per le strade della Gran Bretagna. Eppure, fino a pochi mesi fa, viveva a Londra, nel quartiere orientale di Walmthamstow. Ora, come decine di suoi connazionali, ha lasciato l'Europa per la Siria e l'Iraq, dove si è arruolato nelle fila del sedicente Stato islamico.
Un passato di militanza in un'organizzazione bandita dalle leggi anti-terrorismo britanniche, che gli hanno portato non pochi guai con la giustizia inglese, Dhar non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni. Persuaso della necessità di uno Stato governato dalla sharia, per anni ha seguito il predicatore radicale Anjem Choudary e al-Muhajiroun, facendosi portavoce in più occasioni delle istanze islamiste del gruppo fondato a metà anni Ottanta e finendo spesso sotto il radar delle forze dell'ordine.
"Se fossi nato in una stalla, non per questo sarei un cavallo. Se fossi nato nella Germania di Hitler, non per questo sarei un nazista". Così a novembre 2014 Dhar, di famiglia induista ma convertito all'islam, spiegava a Clarissa Ward la sua scarsa affezione per la Gran Bretagna, in un'intervista andata in onda sulla Cbs.
Un'affermazione che il militante islamista, ora miliziano dell'auto-proclamato Califfo, ripeteva spesso nelle sue apparizioni televisive. "Penso che in molti rinunceremmo alla cittadinanza per il diritto di unirci al Califfato", aveva detto ad Al Jazeera, durante un confronto televisivo all'indomani dell'uccisione per decapitazione del giornalista statunitense James Foley.
Una posizione chiara su un Califfato che, sosteneva, "pensa al bene dei suoi cittadini", spingendosi fino alla negazione del massacro degli yazidi o degli sciiti, ritenuti semplicemente delle pedine nel gioco propagandistico della guerra al sedicente Stato islamico.
È in un documento pubblicato online in questi giorni e piuttosto condiviso nella rete social di fiancheggiatori e sostenitori dell'Isis che Dhar, che si firma con il nome di Abu Rumaysah al-Britani, prende le parti di Mohammed Emwazi, quel Jihadi John che solo di recente ha acquisito un volto e un'identità, fino a pochi giorni fa celati dal passamontagna con cui si è sempre mostrato nei brutali video che hanno mostrato al mondo l'uccisione di diversi ostaggi occidentali.
"Qual è la differenza tra Jihadi John e le migliaia di occidentali che aspettano di vedere il sangue nelle strade del Califfato? Perché attacchi aerei su obiettivi economici e militari nello Stato islamico sono considerati legittimi, ma quelli al World Trade Centre e al Pentagono sono classificati come atti di terrore?", chiede Abu Rumaysah nel documento.
È a novembre dello scorso anno che il cittadino britannico ha annunciato di avere abbandonato la Gran Bretagna per lo Stato islamico. Fermato con l'accusa di sostegno al terrorismo con altre otto persone, tra cui il predicatore Choudary, liberato su cauzione e con l'obbligo di consegnare il passaporto, Abu Rumaysah ha preso la moglie incinta e i quattro figli e si è diretto in Siria, passando per Parigi.
Da militante a miliziano, la trasformazione è rapida. Già nei primissimi giorni dopo il suo arrivo, sui social network compare una sua fotografia, un'arma in una mano e il figlio appena nato tenuto con l'altro braccio. Poi ancora un altro scatto quest'anno, che lo ritrae insieme a un secondo cittadino britannico, in posa sotto le spoglie di un caccia dell'aviazione siriana.
Da qui, imbracciate le armi, Abu Rumaysah combatte per l'affermazione dell'Isis e contro quella che, in più di un'occasione, ha definito come "l'aggressione americana al Califfato", che "sporca di sangue le mani di Obama".
Se la follia dell'Isis è arrivata al punto di legittimare in termini religiosi l'uccisione di un uomo bruciato vivo, che la stragrande maggioranza del mondo musulmano ha condannato e condanna come un abominio, quasi non stupisce che Abu Rumaysah sostenga che è il sedicente Stato islamico a poter vantare "una superiorità morale nell'uso della violenza e non la coalizione guidata dagli Stati Uniti".
Abu Rumaysah, che sembra parlare in veste personale, non quindi come portavoce del sedicente Stato islamico, ma comunque con una certa autorevolezza, non lascia dubbi sul suo giudizio delle decapitazioni. "Per quanto brutali possano sembrare - scrive -, il problema per molti occidentali non è l'esecuzione in sé, ma il fatto che si tratti del sangue sbagliato sul coltello sbagliato e il realizzare che, questa volta, hanno perso".
"Lo Stato islamico ha diritto alla violenza" e "Jihadi John è giustificato nella sua posizione", conclude Abu Rumaysah. E delle sue opinioni difficilmente si può incolpare il cambio d'aria.
"Alla fine - raccontava a novembre alla Cbs, a Londra - voglio vedere ogni donna di questo Paese coperta dalla testa ai piedi. Voglio vedere la mano del ladro tagliata. Voglio vedere le adultere lapidate a morte".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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