Khojaly, la riconciliazione passa dal riconoscimento

Nel 30esimo anniversario della strage di Khojaly, riceviamo e pubblichiamo un intervento dell'ambasciatore della Repubblica dell'Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada

 Khojaly, la riconciliazione passa dal riconoscimento

Gli eventi drammatici accaduti nella notte tra il 25 e il 26 febbraio di 30 anni fa rappresentano una data in cui il mio Paese, tutto, si ferma, simbolicamente, in ricordo di quanto avvenuto. Ogni azerbaigiano, non solo chi quella tragedia l’ha fisicamente vissuta, ma anche chi è nato successivamente, al di là dunque dei confini temporali e fisici, vive con commozione i giorni della memoria. È come se fossimo uniti dalla stessa necessità: non dimenticare, raccontare e sperare nella giustizia.

I fatti sono noti: durante quella lunga e terribile notte, le forze armate dell’Armenia, sostenute dall'ex 366° reggimento sovietico, circondarono, occuparono la città di Khojaly e commisero contro i civili una delle più grandi atrocità mai viste dall'umanità. La portata dello sterminio fu terribile: 613 civili uccisi, di cui 106 donne, 63 bambini e 70 anziani. 1275 abitanti furono presi in ostaggio, mentre il destino di 150 persone rimane ancora oggi sconosciuto. 487 abitanti di Khojaly furono gravemente mutilati, inclusi 76 minorenni. 8 famiglie vennero completamente spazzate via, 25 bambini persero entrambi i genitori, mentre altri 130 uno dei genitori. Tra i morti, 56 persone furono uccise con particolare crudeltà: bruciate vive, scalpate, decapitate, private degli occhi e alcune donne incinte vennero colpite all’addome con baionette. La valutazione complessiva delle cause e delle conseguenze rende assolutamente chiaro che il massacro intenzionale dei civili di Khojaly non è stato un atto isolato o sporadico, ma faceva parte della politica e pratica di atrocità, diffusa e sistematica dell'Armenia, al centro della quale risiedono odiose idee di superiorità razziale, differenziazione etnica e odio. Chi fu ucciso a Khojaly aveva come unica colpa l’essere azerbaigiano.

Ciò che è accaduto a Khojaly rappresenta l’incarnazione dell’essenza dell’aggressione dell’Armenia contro l’Azerbaigian, così come il culmine delle atrocità commesse contro i civili azerbaigiani da parte delle forze militari dell’Armenia durante il conflitto. L’obiettivo principale dell’Armenia nell’attacco a Khojaly, non era solo conquistare la piccola città di 7 mila abitanti, ma quello di insediare l’orrore negli occhi degli azerbaigiani che vivevano nell’area del Karabakh dell’Azerbaigian e nei territori circostanti. Commettendo il sanguinoso massacro a Khojali, l’Armenia ha avviato un’aggressione di larga scala contro l’Azerbaigian, occupando militarmente il 20% del territorio del mio paese, effettuando una pulizia etnica contro oltre un milione di azerbaigiani, espulsi con la forza dalle proprie case, e costretti a vivere una vita da rifugiati. In totale, durante l’occupazione, 30 mila persone sono state uccise, più di 50 mila persone sono rimaste ferite o rese disabili, il destino di circa 4000 azerbaigiani dispersi rimane ancora sconosciuto.

L’Armenia ha continuato i suoi crimini contro l'umanità, prendendo di mira deliberatamente i civili azerbaigiani anche durante la seconda guerra del Karabakh nel 2020. Attaccando la popolazione civile e le infrastrutture di popolose città azerbaigiane come Ganja, Barda e Tartar, situate lontano dal campo di battaglia, l’Armenia ha nuovamente commesso gli stessi crimini di guerra nel 2020 come nel 1992 e, di fatto, questa volta ha utilizzato armi più letali, comprese bombe a grappolo e sistemi missilistici, per causare maggiori vittime tra i civili: più di 100 civili, tra cui 12 bambini e 27 donne, sono rimasti uccisi, 423 i civili feriti. Sia il genocidio di Khojaly del 1992, che il bombardamento della popolazione pacifica nel 2020, rappresentano una chiara prova della politica deliberata e degli atti di violenza sistematica da parte delle autorità dell’Armenia contro i civili azerbaigiani.

Da molti anni ormai il ricordo degli eventi di Khojaly valica i confini del mio paese. "Giustizia per Khojaly!", la campagna di sensibilizzazione per il riconoscimento internazionale del genocidio di Khojaly, lanciata nel 2008 su iniziativa di Leyla Aliyeva, vicepresidente della Fondazione Heydar Aliyev, è stata fondamentale per la comunicazione alla più ampia comunità internazionale dei fatti orribili della tragedia e milioni di persone in tutto il mondo hanno conosciuto le verità su quanto accaduto a Khojaly. Come risultato del lavoro sistematico nell’ambito della campagna “Giutizia per per Khojaly!” nel mondo, numerosi paesi e organizzazioni internazionali hanno condannato fermamente la tragedia di Khojaly e l’hanno riconosciuta come un atto di genocidio. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito il 22 aprile 2010 che l'uccisione di civili azerbaigiani a Khojaly è stato "un atto particolarmente grave che potrebbe essere considerato un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità".

Nell’ambito di questa campagna negli ultimi anni anche l’Italia, terra amica e solidale con l’Azerbaigian, ha ospitato numerosi eventi di divulgazione e sensibilizzazione di quanto avvenuto a Khojaly tra cui, l’organizzazione di spettacoli, come il commovente “Dieci storie che potevano essere vere”, ideato da Leyla Aliyeva, o la trasmissione del documentario “Endless corridor”, basato sui diari del giornalista di guerra lituano Ricardas Lapaitis, in Azerbaigian all’epoca dei fatti, così come le presentazioni di libri sull’argomento, inclusi “Il Dolore” di Arye Gut e Amir Gut nel 2018 alla Biblioteca del Senato e “Un Tassista a Baku” di Barbara Cassani nel 2019 alla Camera dei Deputati, con la partecipazione della superstite al genocidio Durdana Agayeva. La campagna portata avanti ha compreso anche numerosi seminari accademici e di organizzazioni non governative, azioni e manifestazioni nelle piazze principali di diverse città italiane su iniziativa di organizzazioni della comunità azerbaigiana, dei nostri studenti e di amici italiani dell'Azerbaigian. Colgo l'occasione per esprimere la mia profonda gratitudine ai numerosi parlamentari, accademici, giornalisti e personalità della cultura italiana, e a tutti coloro che hanno dato il proprio sostegno a questa campagna, condannando i crimini contro l'umanità commessi a Khojaly ed esprimendo solidarietà al popolo azerbaigiano.

Anche quest’anno, per il 30° anniversario, saranno realizzate varie iniziative in Italia: a Roma lo spettacolo teatrale “Il dolore” di Claudia Di Domenico, ispirato all’amonimo libro di Arye Gut e Amir Gut, porterà all'attenzione del pubblico italiano la sofferenza di persone innocenti, vittime delle atrocità di Khojaly, attraverso una commistione di musica, poesia e parole. Quest’anno lanciamo anche un’iniziativa dal titolo emblematico “Riconciliazione attraverso il riconoscimento: peace building e giustizia di transizione”. Proprio questa iniziativa mi offre l’occasione di soffermarmi su quello che attualmente è il cuore della questione. La guerra di 44 giorni, ponendo fine al conflitto del Karabakh, ha creato le condizioni per la normalizzazione dei rapporti interstatali tra l’Azerbaigian e l’Armenia e per una graduale cessazione dell’odio e dell'inimicizia tra i due popoli.

Ma se vogliamo aprire le porte oggi ad una reale riconciliazione, ad una vera normalizzazione dell’area, dobbiamo sottolineare la necessità che l’Armenia, dopo tre decenni di negazionismo, superi l’attuale mancata valutazione della tragedia di Khojaly e delle responsabilità della sua ex leadership in quanto accaduto. L’ammissione dell’attribuzione dell’accaduto e la richiesta di perdono alle vittime della tragedia, da parte dell’Armenia, si allineerebbero con la teoria di “riconciliazione nel periodo postconflittuale” e di “giustizia di transizione”. Tutto ciò assumerebbe particolare importanza, sia dal punto di vista di adeguamento agli esempi storici e del fare i conti dell’Armenia con il suo passato, sia in termini di instaurazione di una pace duratura.

Nel giorno del 30° anniversario di questa immane tragedia è giunto il momento perché la voce per chiedere Giustizia per Khojaly si alzi ancora di più. L'indifferenza per le atrocità commesse a Khojaly agli occhi di tutta l'umanità civile, alla fine del ventesimo secolo, e l'impunità per lo sterminio di centinaia di civili, possono aprire la strada a nuove tragedie.

Attendiamo che tutta la comunità internazionale dia una valutazione giuridica e politica equa e obiettiva di quello che avvenne a Khojaly e riconosca questo eccidio, una delle pagine più buie della storia dell’umanità, come un genocidio. Tutto ciò è importante per rendere giustizia alle vittime di Khojaly.

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