“È colpa degli Stati Uniti d’America se il programma di denuclearizzazione non è ancora iniziato”, ha dichiarato il leader nordcoreano Kim Jong-un.
L’uomo forte di Pyongyang punta il dito contro il presidente americano Donald Trump, ritenuto responsabile del fallimento del vertice di Hanoi in Vietnam lo scorso 27-28 febbraio 2019. Il secondo meeting tra i leader delle due super potenze si è concluso prima del previsto senza nessun nuovo accordo sul graduale piano di denuclearizzazione, iniziato con il primo summit di Singapore il 12 giugno del 2018.
Al termine dell’incontro di questi giorni con il presidente russo Vladimir Putin nella città russa di Vladivostok, Kim Jong-un ha voluto affermare che il suo paese è preparato ad ogni possibile situazione.
Il leader della Corea del Nord ha dichiarato che “gli Stati Uniti hanno adottato un atteggiamento unilaterale in malafede… la situazione nella penisola coreana e nella regione è ora ferma e ha raggiunto un punto critico che potrebbe tornare al suo stato originale”. Kim ha fatto riferimento alla possibilità di riprendere i test missilistici e nucleari, che il suo governo ha fermato da novembre 2017, se non si dovessero trovare degli accordi condivisi da ambo le parti sulla questione.
“La pace e la sicurezza nella penisola coreana – ha continuato Kim Jong-un – dipenderanno interamente dal futuro atteggiamento degli Stati Uniti”, ribadendo nuovamente la tempestività di risposta del suo paese di fronte ad ogni “possibile situazione”.
Il presidente Vladimir Putin ha commentato le parole del suo omologo nordcoreano confermando il suo totale appoggio al graduale disarmo della penisola coreana e la conseguente progressiva abolizione delle sanzioni imposte a Pyongyang, indicando la necessità di garantire sicurezza e sovranità al regime nordcoreano in un contesto internazionale e multilaterale.
L’impasse tra Stati Uniti e Corea del Nord si è creata a causa dell’assoluto diniego proveniente da Washington di concedere alcuna concessione, ad esempio il ritiro delle sanzioni economiche, prima del totale e completo smantellamento nucleare della penisola nordcoreana.
D’altro canto, Pyongyang nutre una fondata paura di diventare una nuova Libia o Iraq, ovvero un nemico inerme, dopo essersi disfatta di tutti gli armamenti pesanti, come richiesto dagli Stati Uniti.
La sfida maggiore ora è quella di riuscire a stabilire nuovamente una fiducia reciproca tra le parti, ed è per questo motivo che Pyongyang ha voluto includere Seoul in veste di mediatore dei negoziati in materia.
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