La mappa del fondamentalismo islamico ​nel sud est asiatico

Sono sempre di più i gruppi fondamentalisti orientali che si rifanno all'Isis

La mappa del fondamentalismo islamico ​nel sud est asiatico

Il fondamentalismo cresce anche nel sud est asiatico. Lo fa velocemente e sono sempre di più i gruppi che si ispirano allo Stato islamico (ISIS) guidato dal califfo Abu Bakr Al-Baghdadi. Dalle Filippine alla Malesia, dall’Indonesia alla Thailandia.

Nel sud delle Filippine, nella regione del Bangsamoro - dove la popolazione è prevalentemente musulmana - sono presenti numerose organizzazioni radicali attive. Nel marzo scorso le forze di polizia dell’anti-terrorismo hanno lanciato una grossa operazione contro il gruppo fondamentalista “Bangsamoro Islamic Freedom Fighters” (BIFF). L’operazione è costata la vita ad oltre 130 persone e gli scontri a fuoco sono durati per giorni. Il BIFF è una fazione fuoriuscita dal “Moro Islamic Liberation Front” (MILF), quest’ultimi accusati di aver firmato un accordo di pace nel 2012 con il governo di Manila per la creazione di una regione autonoma musulmana.

Ma il gruppo più attivo e violento è “Abu Sayyaf Group” (ASG), fondato alla fine degli anni ottanta da Abdurajik Janjalani. ASG, che è stato da sempre vicino ad “Al-Qaeda”, nell’ultimo periodo sembra aver avuto rapporti con ISIS. Il loro scopo sarebbe quello di creare uno stato islamico indipendente basato sulla legge della sharia nella regione del Mindanao. Questa formazione – inserita dagli Stati Uniti nella lista nera dei gruppi terroristi - ha stretti legami anche con “Jemaah Islamiyah” (JI), un’organizzazione panasiatica fondata nei primi anni novanta.

JI è responsabile di sanguinosi attentati in Indonesia e il suo abiettivo sarebbe quello di creare uno stato islamico che comprenda la Malesia, la parte meridionale della Thailandia, l’Indonesia, il Brunei, Singapore e le Filippine del sud.

Nella Thailandia sconvolta dall’attentato di Bangkok di lunedì - dove è possibile un coinvolgimento di gruppi Uiguri, una minoranza turcofona di religione islamica, che vive nello Xinjiang nel nord ovest della Cina – è in atto un conflitto tra l’etnia musulmana dei
Malay e il governo. Gli attentati, a suon di bombe rudimentali ed armi da fuoco, nelle tre provincie ribelli del sud della Thailandia di Pattani, Narathiwat e Yala, hanno causato – dal 2004 ad oggi – oltre seimila vittime.

Sono molti i gruppi e, anche se quasi tutti chiedono l’indipendenza dalla Thailandia, non hanno un leader comune. I più attivi sono il “Patani United Liberation Organization” (PULO) nato nel 1968 e lo “United Front for the Independence of Patani”, conosciuto anche con il nome “Bersatu”. Fino ad ora, le loro azioni, anche se numerose, non si sono mai spostate dalle remote zone del sud del Paese.

Dalla Malesia e dall’Indonesia sono partiti diversi miliziani per dar manforte ai combattenti dell’ISIS in Irak e Siria. E le agenzie anti-terrorismo di Kuala Lumpur e Jakarta hanno più volte avvertito del rischio concreto di attacchi e violenze.

Nel 2002, in alcuni locali notturni di Bali, un attentato rivendicato da JI ha ucciso 202 persone. Ma è Malesia - dove l’Islam è religione di Stato - il Paese che potrebbe rivelarsi più pericoloso e dove potrebbero avere una base d’appoggio tutti i fondamentalisti del sud-est asiatico.

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