Auckland, la città più popolosa della Nuova Zelanda, entrerà in lockdown per sette giorni dopo la scoperta di un caso di Covid-19 di origine sconosciuta. La premier Jacinda Ardern ha annunciato questo sviluppo ed ha chiarito che la città entrera nel Livello 3 sui 4 previsti dal sistema di allerta neozelandese mentre il resto del paese adotterà le restrizioni previste dal livello 2. Il paziente, che ha sviluppato i sintomi nella giornata di martedì, aveva frequentato alcuni luoghi pubblici a partire dalla domenica, quando era già in grado di contagiare altre persone. Le autorità, preoccupate da questa eventualità, hanno deciso di "chiudere" Auckland per impedire la creazione di focolai e per evitare che il virus SARS-CoV-2 possa radicarsi nella nazione. Il lockdown preventivo era stato già adottato due settimane fa quando, proprio ad Auckland, erano stati riscontrati tre casi della variante britannica del Covid-19. In quell'occasione la chiusura era durata appena tre giorni mentre nell'agosto del 2020 la città era stata sottoposta a restrizioni dal 12 al 30 del mese per poi tornare, gradualmente, alla normalità.
La Nuova Zelanda è riuscita a proteggersi dalla pandemia grazie ad un atteggiamento molto cauto, adottato sin dalle prime fasi dell'emergenza sanitaria. Il 28 febbraio del 2020 è stato individuato il primo caso di Covid-19 ed a partire dal 19 marzo le frontiere sono state chiuse a tutti, esclusi i cittadini neozelandesi ed i residenti permanenti nel paese. Il 23 marzo il paese è entrato in confinamento e ne è uscito solamente il 13 maggio. A partire dall'8 giugno la vita dei neozelandesi è tornata ad una quasi normalità, ormai sconosciuta ed invidiata dal resto del mondo. La chiusura precoce delle frontiere ha impedito al virus di continuare a penetrare dall'esterno mentre il confinamento lo ha quasi estirpato dal territorio nazionale. A giocare in favore della Nuova Zelanda è stata, ovviamente, anche la sua natura insulare e particolarmente remota. L'Australia, la nazione confinante più vicina, dista ben quattro ore di volo ed a separare Wellington dal resto del mondo ci pensano molte miglia oceaniche.
Il cuore del modello neozelandese è costituito dall'intervento precoce e da una comunicazione chiara, in grado di raggiungere tutti e di farli sentire parte di una comunità. Il paese ha poco meno di 5 milioni di abitanti ed una densità abitativa molto ridotta, fattori in grado di renderlo un caso piuttosto raro sullo scacchiere mondiale. A beneficiare di questo stato di cose, in ogni caso, è stata il partito laburista della premier Jacinda Ardern che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi alle elezioni legislative dell'ottobre 2020.
L'efficace modello adottato dalla Nuova Zelanda per contenere la pandemia ha, però, alcune evidenti debolezze. La Ardern ha già annunciato che le frontiere del paese rimarranno probabimente chiuse per il resto del 2021. Questa mossa, apparentemente saggia, rischia di rivelarsi insostenibile nel lungo termine e di causare gravi danni al tessuto produttivo neozelandese. La marginalità di Wellington sullo scacchiere internazionale non può far dimenticare che ogni nazione, nemmeno la più piccola, può arroccarsi come fosse una fortezza senza pagare uno scotto significativo dal punto di vista commerciale e politico. La pandemia è un fenomeno imprevedibile, destinato ad attenuarsi con alla diffusione dei vaccini, ma comunque in grado di perdurare grazie alla nascita di nuove varianti del virus. Le frontiere, prima o poi, dovranno aprirsi ed il rischio è che a quel punto il virus possa entrare e causare danni significativi.
La scommessa di fondo della Ardern è quella di tenere il virus fuori dalla porta ma è difficile controllare, rigidamente ed in maniera efficace, una nazione intera senza mai commettere alcun errore. La linea difensiva dei lockdown improvvisi (peraltro in grado di causare danni alle attività commerciali), in quel caso, potrebbe crollare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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