Dopo la morte di Goto, il Giappone protesta contro Shinzo Abe

Il primo ministro giapponese accusato di non aver fatto nulla per salvare il reporter. Il governo giordano: "La terrorista iraniana in cambio del nostro pilota"

Dopo la morte di Goto, il Giappone protesta contro Shinzo Abe

Il Giappone è sotto choc. Oggi, alcune centinaia di persone hanno manifestato nel pomeriggio a Tokyo davanti all'Ufficio del primo ministro, allo scopo di esprimere cordoglio per la morte del reporter freelance Kenji Goto ucciso dai militanti dell'Isis.

Ma, soprattutto, a differenza delle fiaccolate, dei raduni di preghiera e solidarietà per la liberazione di Goto dei giorni scorsi, lo scopo principale dell'iniziativa promossa dalle associazioni pacifiste è stato quello di protestare contro le politiche del premier Shinzo Abe, promotore di un ruolo più proattivo di Tokyo nei conflitti internazionali.

Nel mirino anche i 200 milioni di dollari di aiuti umanitari promessi poche settimane fa da Abe ai Paesi alle prese con la Stato islamico, durante il suo viaggio in Medio Oriente. "Colpa tua Abe", si leggeva sul cartello di un manifestante, mentre su un altro, ben più grande, c'era la dedica al reporter freelance: "Kenji, sarai vivo nelle nostre memorie".

Un aiuto a Abe viene da Israele. Benjamin Netanyahu ha infatti inviato una lettera di condoglianze al premier giappone per l'uccisione del secondo ostaggio giapponese da parte dell'Isis: "Questi atroci omicidi condotti dall'Esercito islamico sono un agghiacciante monito del bisogno di una battaglia unitaria e senza compromessi di tutte le nazioni libere contro il terrorismo islamico che infuria in Medio Oriente e nel mondo intero".

Nel frattempo, la Giordania ha rinnovato l'offerta per scambiare la terrorista di al Qaeda Sajida al-Rishawi con Muath al-Kaseasbeh, il pilota di caccia tenuto prigioniero dall'Isis: "Siamo ancora pronti a consegnare al-Rishawi in cambio del pilota", ha reso noto il portavoce del

governo giordano Mohammed al-Momani.

Il governo giordano sta lavorando per accertarsi che il pilota sia "ancora vivo e assicurare la sua liberazione e il ritorno in patria".

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