Papua Nuova Guinea, i poliziotti non pagati ​assaltano il parlamento

Nel pomeriggio, circe trecento membri delle forze di polizia della Papua Nuova Guinea hanno fatto irruzione all'interno del palazzo del Parlamento, chiedendo di essere pagati per il servizio d'ordine svolto durante il vertice dell'Apec tenutosi nella capitale del paese lo scorso weekend

Palazzo del Parlamento
Palazzo del Parlamento

Attimi di tensione si sono registrati questo pomeriggio in Papua Nuova Guinea, quando un gruppo di persone appartenenti in gran parte alle forze di polizia locali hanno assaltato il palazzo del Parlamento chiedendo di essere pagati per il servizio d'ordine svolto durante l'annuale summit dell'Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation, organismo internazionale nato nel 1989 per favorire la collaborazione tra i paesi che si affacciano sull'Oceano Pacifico) tenutosi il 17 e 18 novembre scorsi nella capitale Port Moresby. Come riportato dal portavoce del Parlamento Harry Momos, circa trecento individui hanno fatto irruzione nell'edificio distruggendone le finestre e mettendone a soqquadro gli uffici prima di poter finalmente essere ricevuti dal Presidente della camera e dal Ministro delle finanze, i quali hanno assicurato che i militari verranno pagati entro questo mercoledì. Lo stesso Momos ha in seguito minimizzato l'accaduto affermato:"A questo punto non ci aspettiamo ulteriori danneggiamenti o scontri". Affermazioni non condivise però da Bryan Jared Kramer, giornalista investigativo e membro dell'opposizione, che mentre mostra i danni avvenuti all'interno del palazzo dichiara: "Numerosi membri dello staff del Parlamento sono stati aggrediti durante gli scontri. Coloro che hanno espresso le loro rimostranze distruggendo e prendendo d'assalto il Parlamento sono attualmente fuori dall'edificio e vogliono essere contattati dal governo per avere spiegazioni sul motivo per cui non hanno ricevuto le loro indennità".

A protestare contro il governo per la sconsiderata gestione del summit Apec non vi sono però solo i membri delle forze dell'ordine. Anche numerosi cittadini papuani si stanno chiedendo in questi giorni se fosse realmente necessario spendere denaro pubblico per l'organizzazione di un vertice internazionale così importante in uno degli stati più poveri dell'area del Pacifico. L'economia della Papua Nuova Guinea è infatti all'ultimo posto tra quelle dei ventuno paesi membri dell'Apec, con oltre l'85 per cento della popolazione che vive di agricoltura di sussistenza e meno di un quinto della popolazione che ha accesso all'energia elettrica. In quest'ultimo periodo il paese sta inoltre fronteggiando una crisi sanitaria nazionale causata dalla ricomparsa della poliomielite dopo 18 anni dal suo debellamento ufficiale. Proprio in considerazione delle difficili condizioni in cui versa lo Stato risulta ancora più difficile spiegare alcune discutibili spese governative per il vertice dello scorso weekend; come l'acquisto di quaranta Maserati utilizzate per trasportare i rappresentanti dei paesi membri dell'Apec per le vie della capitale.

Ad aumentare il clima di tensione generale vi è stato inoltre l'acuirsi delle tensioni tra Cina e Stati Uniti nel corso dello stesso summit, che ha portato per la prima volta alla mancata stesura di un comunicato finale congiunto da parte di tutti i partecipanti. Il pomo della discordia tra Pechino e Washington sarebbe infatti stato infatti il tentativo di inserire, all'interno del comunicato finale, la proposta di una riforma dell'Organizzazione mondiale del commercio, oltre ad un passaggio inerente a presunte "pratiche commerciali ingiuste" effettuate dalla Cina a danno degli Usa. In risposta alle accuse americane, il presidente cinese Xi Jinping ha quindi successivamente affermato: "Il protezionismo è destinato a fallire. La storia dimostra che il confronto, sia nella forma di una guerra fredda, calda o di una guerra commerciale, non produce vincitori", al quale il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence ha prontamente risposto: "Gli Usa manterranno la linea dura con la Cina sul commercio finché la Cina non cambierà metodi. Non anneghiamo i nostri partner in un mare di debiti. Non usiamo coercizione, corruzione o compromettiamo la vostra indipendenza.

Non offriamo cinture che stritolano o una via a senso unico", riferendosi alla cosiddetta "diplomazia del debito" e all'apertura dell'infrastruttura nota come Belt and Road Initiative, la nuova via della seta cinese che punta a migliorare i collegamenti tra i paesi dell'area euroasiatica.

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