Ci sono volute quasi quarantott'ore perché i talebani ammettessero che dietro la notizia della morte del Mullah Omar c'era un fondo di verità. Ce ne vorranno di più per capire se la nomina di Akhtar Mansour al suo posto sarà infine accettata con serenità. Un'ipotesi che al momento non sembra poi così scontata.
La possibilità di una frattura tra i ranghi dei talebani in Afghanistan era emersa da subito. Il successore del leader storico è un uomo che in molti definiscono un "pragmatico", più incline al negoziato di quanto lo siano altri e per questo non necessariamente ben visto dagli elementi più radicali del gruppo.
L'annuncio del nuovo leader è arrivato insieme all'ammissione della morte di Omar, deceduto nel 2013, di malattia stando a un comunicato firmato dai familiari. Ed è proprio dai parenti più stretti dell'"amir ul-momenin", il comandante dei credenti - così era conosciuto da chi lo seguiva il Mullah - che arriva un invito a ponderare la questione dell'eredità.
"La nostra famiglia non ha dichiarato alleanza a nessuno a causa delle divisioni", ha comunicato in un messaggio audio il Mullah Abdul Manan, fratello di Omar, insistendo sul fatto che la decisione di affidare il comando ad Akhtar Mansour - per anni numero due del gruppo - non è stata condivisa dal Consiglio dei talebani e chiedendo che si risolva la disputa interna prima di prendere qualsiasi altra decisione.
Una delle questioni fondamentali è quella dei colloqui di pace con le autorità afghane, ora interrotti dopo la notizia del decesso del Mullah Omar. L'opinione comune è che il nuovo leader - qualora fosse poi riconosciuto -, sarebbe incline a portarli avanti.
Nel suo primo messaggio Akhtar Mansour ha cercato di ricomporre le cose, invitando i talebani all'unità e a continuare l'insurrezione. Ambigua la sua posizione sui colloqui. Il Mullah ha sì chiesto di "ignorare quanto scritto dai media", senza però spingersi molto oltre o chiarire la sua posizione generale sulla questione.
Una richiesta che probabilmente non è solo il tentativo di attrarre i consensi che gli mancano. Del caos interno potrebbero approfittare altri elementi della galassia jihadista, non ultimo l'Isis, che da tempo prova a costruirsi una presenza più stabile nell'area afghano-pakistana, approfittando dei contrasti tra gli insorti.
Cosa poi possa pensare di una trattativa il nuovo
numero due del gruppo, Sirajuddin Haqqani, leader del network terrorista, su cui gli Stati Uniti hanno messo una taglia da dieci milioni di dollari, per molti è un altro nodo fondamentale da sciogliere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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