Proteste in Iran, Usa contro gli ayatollah

Alcuni attivisti e osservatori sostengono che si tratti della più grande manifestazione di protesta dai tempi del movimento verde del 2009

Proteste in Iran, Usa contro gli ayatollah

Sono proseguite anche nella serata di ieri le numerose manifestazioni di protesta che da un paio di giorni si stanno svolgendo in Iran. Alcuni attivisti e osservatori sostengono che si tratti della più grande manifestazione di protesta dai tempi del movimento verde del 2009.

La causa delle proteste sembra essere la crisi economica e la disoccupazione giovanile nel paese che, secondo i dati del New York Times, si attesterebbe intorno al 40%. Nonostante l’aumento degli investimenti esteri, il paese continua a sopravvivere principalmente grazie alla vendita di petrolio e, la situazione economica è resa ancor più complessa dalle sanzioni americane ancora in vigore che impediscono alla maggior parte delle banche internazionali di concedere finanziamenti e credito
all’Iran.

Le prime manifestazioni sono iniziate giovedì nella città di Mashhad per denunciare l’aumento dei prezzi e lo stato dell’economia, ma nel corso delle proteste alcuni avrebbero gridato "morte a Rouhani" altri avrebbero criticato le autorità iraniane per l’impegno militare in Siria ed il sostegno alla causa palestinese. Sembra anche che gli slogan dei manifestanti nella città santa di Mashhad, fossero rivolti contro le autorità religiose, al grido di "noi mendichiamo i religiosi si arricchiscono".

Tra le immagini circolate sui social e su Twitter, anche quella di una giovane manifestante che, in segno di protesta verso le leggi della Repubblica Islamica, si è tolta il velo (hijab). Una forma di protesta fortemente simbolica per la quale da pochi giorni non è previsto più né l’arresto né il processo. Da quanto si apprende dai video diffusi sui social media, la Guida Suprema Khamenei, gli Hezbollah e la Repubblica islamica sarebbero il bersaglio dei manifestanti, scesi nelle strade a protestare anche nelle città di Kermanshah, Rasht, Isfahan, Qom e Teheran.

Questa mattina il Dipartimento di Stato Americano ha rivolto una condanna alle autorità iraniane per gli arresti, una cinquantina circa, dei manifestanti, invitando altri paesi a fare altrettanto a sostegno delle rivendicazioni di maggiori diritti e di lotta alla corruzione, espresse dagli iraniani scesi nelle strade. Nella nota diffusa dal Dipartimento di Stato, i leader iraniani venivano accusati di aver impoverito l’Iran, e di aver trasformato un paese così ricco di storia e cultura in uno stato canaglia. Proprio questa nota, insieme al Tweet di sostegno ai manifestanti di Donald Trump sarebbe, secondo quanto commentato su Twitter dall’analista e corrispondente di guerra Elijah Magnier, il miglior modo per metter fine alle proteste. Non sfugge infatti che un sostegno, anche soltanto mediatico da parte statunitense alle manifestazioni, potrebbe trasformarsi in un valido argomento per le autorità iraniane per ribadire il ruolo e l’ingerenza esterna del “grande Satana” americano.

In queste ore si sta svolgendo una manifestazione filo governativa a Mashhad insieme ad una serie di altri eventi che stanno proprio commemorando la fine delle proteste orchestrate, secondo le autorità iraniane, dalle potenze straniere dopo le Presidenziali del 2009. Parallelamente vari social confermano che le manifestazioni contro le autorità iraniane sarebbero tutt’ora in corso in diverse località, tra cui Teheran e che alcuni manifestanti starebbero gridando “morte al dittatore”. Diverse immagini confermerebbero anche un imponente dispiegamento delle forze di sicurezza proprio nella capitale a conferma dei timori che la protesta, iniziata sulla base di rivendicazioni sociali, possa trasformarsi in rivolta politica.

L’esperto blogger di questioni iraniane Potkin Azarmehr ritiene che sia prematuro pensare che queste proteste possano

trasformarsi in una rivoluzione ma fa notare quanto sia singolare e significativo il fatto che, alcuni manifestanti, abbiano più volte invocato la figura dello Shah e fatto riferimento all’Iran antecedente alla rivoluzione del ’79.

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