Che l'Europa sia condannata al gelo invernale, alla rivolta sociale e all'inesorabile tracollo economico se non cederà al ricatto del gasista Vladimir Putin sulle sanzioni alla Russia, è il cuore della propaganda del Cremlino in queste settimane di avvicinamento all'autunno. Una propaganda che ormai si affida ad aperte minacce e a toni rabbiosi, indice di crescenti difficoltà da parte di chi vi fa ricorso. Una Russia ormai chiaramente incapace di vincere la guerra d'aggressione all'Ucraina, in cui si è infilata oltre sei mesi fa commettendo un colossale errore di valutazione, sa di disporre ormai di una sola arma per uscirne non sconfitta: spaccare il fronte dei Paesi occidentali che sostengono Kiev.
Invece di prefigurare la necessità presunta di una resa europea, sembra piuttosto il caso di considerare se il regime russo sarà in grado di reggere se anche quest'ultima arma dovesse rivelarsi insufficiente a piegarci ai suoi voleri. Perché sarà anche vera la storia edificante dell'eroica capacità di resilienza del suo popolo testimoniata da vicende terribili di ottant'anni fa, ma è altrettanto vero che le sanzioni occidentali stanno rendendo la vita dei russi di oggi sempre più dura. Con buona pace di un altro mantra spesso ripetuto da politici e commentatori: le sanzioni fanno male a noi europei, mentre in Russia tutto va bene.
Non è affatto così. L'economia russa è azzoppata in modo catastrofico e lo sarà sempre di più nei prossimi anni. Lo rivela un rapporto, diffuso da Bloomberg che ne è venuta in possesso, redatto da funzionari russi a uso del Cremlino e presentato a una riunione a porte chiuse lo scorso 30 agosto. La relazione, destinata a chiarire il vero impatto delle sanzioni occidentali sulla Russia, dipinge un quadro molto fosco. Il Paese vi si legge «potrebbe trovarsi ad affrontare una recessione più lunga e profonda del previsto, con il suo punto più basso nel 2023 e prospettive di recupero a livelli prebellici non prima di un decennio». «L'estendersi delle sanzioni americane ed europee chiarisce il rapporto top secret penalizza i settori cui la Russia si affida da anni per alimentare la sua economia».
Nel dettaglio, il suo core business, l'export di materie prime, soffre la posizione di debolezza in cui è ridotto dalla perdita dei mercati occidentali e dalle condizioni sfavorevoli cui deve sottostare pur di vendere in Asia. L'import di ricambi e materiale tecnologico è crollato: la Russia non solo fatica a rimpiazzare i mezzi militari perduti in Ucraina, ma non è più in grado di importare né produrre automobili degne di tal nome, tanto da dover ricorrere all'aiuto cinese per riattivare le arrugginite linee di produzione dei vecchi catorci d'epoca sovietica Moskvich. In generale, la produzione interna russa è bloccata anche dalla crisi dei trasporti interni, con conseguente impennata dei prezzi. La fuga delle compagnie straniere ha quasi dimezzato il prodotto interno lordo, e il giro di vite sulle libertà individuali ha spinto la crema della società urbana e tantissimi giovani a riparare in Occidente innescando anche una fuga di capitali. Esaurite le riserve di valuta estera, le finanze statali sono in affanno e l'esclusione dai mercati internazionali ostacola la capacità di Mosca di finanziarsi all'estero.
Per tutte queste ragioni, chi sostiene che le sanzioni non stiano mettendo in crisi la Russia è in errore. Ma basterebbe, lo ripetiamo, far caso all'insistenza crescente con cui il Cremlino pretende che le sanzioni siano sollevate per comprenderne l'efficacia e l'importanza.
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