Si è chiusa oggi, con la sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti, la vicenda giudiziaria di Samantha Elauf, che aveva portato in tribunale Abercrombie per averle rifiutato un posto di lavoro.
La ragazza, che porta l'hijab, il velo delle donne musulmane, aveva sostenuto nel 2008 un colloquio con la linea di abbigliamento, che le aveva rifiutato il posto, sostenendo che la ragazza, allora 17enne, avrebbe violato la "look policy" del gruppo.
Una scelta in fondo in linea con le politiche del marchio d'abbigliamento, molto conosciuto tra i più giovani e noto anche per avere impiegato, dal 2006 in poi, commesse piuttosto avvenenti e commessi che lavoravano a torso nudo. Decisione, questa, rivista a fine aprile, forse nel tentativo di ribaltare l'andamento negativo delle vendite.
Oggi è arrivata la decisione della Corte suprema americana, che si è schierata dalla parte della Elauf. Otto giudici hanno dato ragione a lei, soltanto uno si è espresso contro. Samantha, durante il colloquio, non aveva specificato di essere musulmana, ma secondo il tribunale Abercrombie avrebbe "almeno dovuto sospettarlo".
Il Civil Rights Act del 1964 proibisce negli Stati Uniti la discriminazione sulla base di fattori religiosi. La U.S. Equal Employment Opportunity Commission (EEOC), che aveva fatto causa per la ragazza, sostiene che sono soprattutto i musulmani a presentare reclami per comportamenti contrari alla libertà di religione messi in atto dai datori di lavoro.
In termini legali, la questione era dunque se Samantha Elauf, che non aveva menzionato il suo essere musulmana durante il colloquio, avesse
diritto a quello che il diritto americano definisce una "religious accomodation", ovvero a una soluzione ragionevole tra dipendente e datore di lavoro, applicabile ai fedeli di ogni credo. La Corte ha dato ragione alla giovane.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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