Roma, l'Italia e l'Europa viste dall'antica Cina

Dall’inizio del XX secolo l'interesse per la Cina sta occupando uno spazio sempre maggiore sui nostri mezzi di comunicazione occidentali

Roma, l'Italia e l'Europa viste dall'antica Cina

Mentre in passato l’interesse per la Cina era riuscito a uscire solo a sprazzi da ambienti ristretti - era accaduto in casi come il Milione di Marco Polo e le lettere dei gesuiti - dall’inizio del XX secolo essa sta occupando uno spazio sempre maggiore sui nostri mezzi di comunicazione occidentali. Si può dire invece che i cinesi avessero dedicato costantemente un occhio di riguardo a Roma, all’Italia, al Cristianesimo e all’ Europa, definendoli collettivamente, per più di 1000 anni, come Daqin. Così si esprimevano, al tempo dei Romani, gli Annali degli Han Posteriori: “Gli abitanti di Daqin sono alti e onesti come quelli del Paese di Mezzo. Per questo li chiamiamo Grande Qin”.

Ci sono molte interpretazioni di questo termine, che suona grosso modo come “Grande Cina”. La stele di Xi’an, del VIII Secolo, contiene una sintesi della dottrina cristiana e della storia dei Tang vista dal punto di vista della Chiesa nestoriana, espresso anche nei Sutra di Gesù. Xi’an era la capitale dell’impero cinese, dove, tra l’altro, si trovano l’Esercito di terracotta e la Pagoda di Daqin, una chiesa che costituiva la sede patriarcale dei Nestoriani. Fra il XIII e il XIV secolo, in seguito a diverse ambasciate, fra cui quelle della famiglia Polo, si erano stabiliti contatti regolari fra l’Europa (in particolare Roma) e l’impero Yuan, al punto che esisteva un arcivescovado di Pechino, fondato da Giovanni da Montecorvino.

La Cina nelle opere occidentali

Dal XVI al XVIII secolo coltissimi gesuiti, molti dei quali italiani, proseguendo l’opera di Matteo Ricci avevano lavorato alla corte di Pechino, influenzando tanto gli europei (tra cui filosofi come Leibniz e Voltaire ed economisti come Fresnais) con le loro conoscenze sulla Cina, quanto i cinesi, importando idee e gusti occidentali. Avvenne per esempio con i Padiglioni Occidentali del Vecchio Palazzo Estivo, e con i ritratti della famiglia imperiale. Per tradurre la Bibbia e la liturgia, i gesuiti avevano avviato uno studio comparato delle linguistiche e delle teologie europea e cinese, gettando così le basi della sinologia. Leibniz aveva scritto un’opera, i Novissima Sinica (“Ultime notizie dalla Cina”), per esaltare l’ottenimento da parte dei gesuiti del permesso di predicare e convertire. Tuttavia, per la radicalità dell’inculturazione perseguita con i “Riti cinesi” (l’“aggiustamento”) essi si erano attirati le critiche della Chiesa.

La Turandot di Puccini, a lungo criticata in Cina, è divenuta ormai una delle opere più amate dai cinesi, quasi un emblema della Cina, soprattutto grazie alla messa in scena del 1998 con la regia di Zhang Yimou. Nel film Dragon Blade si racconta la storia (ovviamente romanzata) dell’incontro fra i Romani e i cinesi. Ancor oggi sono molteplici i segni d’interesse da parte dei cinesi per l’Europa e, soprattutto, per l’Italia. Per esempio, nella metropoli di Tianjin, porto di Pechino e della nuova megalopoli “Jingjinji”, la vecchia concessione italiana è stata trasformata in una ”Italian Style Town” intorno alla Marco Polo Plaza.

A Dongguan, il nuovo quartier generale di Huawei è costituito dalla riproduzione di dodici città europee, fra cui Bologna e Ferrara.

Certo, questa simpatia e conoscenza dell’Italia potrebbe e dovrebbe essere incrementata, non solamente grazie ai canali istituzionali, bensì anche e soprattutto attraverso un’opera di studio, di documentazione e di divulgazione dei legami storici e culturali, che può costituire uno stimolo per il dibattito culturale, come anche per il turismo.

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