La Swarm Warfare è una nuova tattica asimmetrica elaborata dalla US Navy e si basa sulla capacità di attaccare un bersaglio X con decine di droni a basso costo gestiti da intelligenza artificiale. La prima elaborazione della nuova dottrina di riferimento risale al 2012 in un documento dal titolo UAV Swarm Attack redatto dalla Naval Postgraduate School. Lo scenario immaginato è il seguente: cosa accadrebbe se uno sciame di droni a basso costo attaccasse una nave da guerra moderna?
"Un cacciatorpediniere della Marina USA è attaccata simultaneamente da cinque a dieci droni. Questi ultimi provengono da tutte le direzioni, la visibilità è buona. I droni sono controllati segretamente da una postazione in remoto collocata in un peschereccio nelle vicinanze. Alcuni droni sono guidati a vista, altri sono dotati di radar. Il sistema di difesa aerea Aegis è uno dei migliori al mondo, con una suite integrata di sensori ed armi. E’ ritenuto in grado di azzerare con i suoi missili ed i suoi cannoni da 20 millimetri ogni tipo di minaccia, ma non quella formata da uno sciame di droni. Il motivo? All’epoca un tale asset era ritenuto fantascienza”. Anche il miglior sistema di difesa come l’Aegis statunitense, non potrebbe fare nulla contro uno sciame robotico. Il problema è che i piccoli droni hanno una firma radar minuscola: anche se identificati non potrebbero essere ingaggiati dai missili o dai cannoni perché troppo vicini. E’ stato stimato che tra l’individuazione e l’impatto dei droni, anche la più potente nave della Marina USA avrebbe un tempo di reazione di 15 secondi. Il risultato è che il sistema Aegis non può influenzare a suo vantaggio un attacco portato da uno sciame di droni. La minaccia non verrebbe comunque neutralizzata al 100%.
“I difensori a bordo dovrebbero sceglier un bersaglio diverso dagli altri: soltanto in questo modo potrebbero sperare di limitare i danni”. Esatto, soltanto limitare. Su centinaia di simulazioni effettuate, in un attacco portato da otto droni, una media di 2,8 UAV riescono sempre a colpire il bersaglio. Ciò significa che più ha senso attaccare una nave con un gran numero di droni a basso costo che con un missile.
L'intelligenza artificiale alla base dello sciame robotico
Aggregazione e Disaggregazione
L’idea alla base dello sciame robotico è il banco di pesci o lo stormo di uccelli. L'intelligenza artificiale alla base dello sciame robotico è quella che il Pentagono definisce living brain, cervello vivente. I droni a sciame interagiscono tra di loro. Riconoscendosi a vicenda, iniziano ad aggregarsi, continuando a volare come se fossero un solo sistema. Quest’ultimo è progettato per disperdersi in base al contesto operativo. Sarà l'intelligenza artificiale a gestire il comando di aggregazione e disaggregazione dato dell'operatore in remoto. Qualsiasi velivolo può essere abbattuto da un singolo missile, ma uno sciame può subire gravi perdite e continuare la sua missione. Le batterie antiaeree non hanno abbastanza missili per fermare uno sciame robotico (non sono state concepite per tali bersagli). Alla fine di aprile la Darpa, l’agenzia per i progetti di ricerca avanzata di difesa del Pentagono, ha assegnato un contratto da 38,6 milioni di dollari a Dynetics per sviluppare un software che consentirà il decollo e l'atterraggio dei droni sviluppati da Kratos da una piattaforma in volo. Entro i prossimi 21 mesi, Dynetics e Kratos dovranno dimostrare la fattibilità del Programma Gremlins. Gli Stati Uniti vogliono raggiungere la capacità di lanciare e recuperare in modo rapido ed affidabile uno sciame robotico da un C-130. I primi test confermano che Dynamics potrebbe raggiungere l’obiettivo fissato dalla Darpa entri i tempi stabiliti, con fase di lancio e recupero di quattro droni da un C-130 (alveare) in trenta minuti. I militari statunitensi hanno esplorato il concetto di portaerei volante già negli anni ’30. Il programma Gremlins, iniziato sotto l'amministrazione Obama, rientra nella Third Offset Strategy del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti concepita per superare i vantaggi dei principali avversari attraverso la tecnologia (robotica, veicoli senza equipaggio, miniaturizzazione ed intelligenza artificiale).
Il programma Low-Cost UAV Swarming Technology – LOCUSTA basato su drone Coyote, si pone l’obiettivo di creare uno sciame da guerra formato da trenta droni del tutto automatizzati allo stesso costo di un singolo missile, circa 1,2 milione di dollari. Sono già in atto dei programmi paralleli come l’Aerial Combat Swarms che prevede l’impiego di sciami per autodifesa contro altri droni nemici. Quando un giorno sarà affidabile lo sciame robotico cambierà per sempre la faccia del campo di battaglia, specialmente quando i droni saranno armati.
Droni kamikaze per i reparti speciali Usa
Entro il prossimo anno ogni squadra di fanteria Usa sarà equipaggiata con uno sciame di droni. Lo scorso anno il Comando delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti, SOCOM, ha ottenuto per i propri operatori in Iraq, droni kamikaze a basso costo per le procedure di attacco rapido. Nello specifico, SOCOM ha ricevuto 325 LMAMS, acronimo per Lethal Miniature Aerial Missile Systems tipo Switchblade, attualmente nella versione Block 10C. Realizzato dalla AeroVironment Inc., Switchblade pesa meno di tre chili e si può trasportare in uno zaino. La sua propulsione elettrica lo rende pressoché silenzioso. Lanciato da un semplice cilindro, estende le ali ed ha un’autonomia di quindici minuti. E’ dotato di una telecamera a colori/infrarossi che consente all’operatore in remoto di identificare un bersaglio in tempo reale e navigazione GPS. Scelto ed agganciato l’obiettivo fisso o in movimento, Switchblade si lancia a 90 miglia all’ora, in modalità manuale o autonoma, con una testata programmabile ad esplosione mirata. L’implementazione di svariati sistemi ad unità combattenti terrestri, conferisce loro una capacità di decimare gli avversari a distanza. AeroVironment ha annunciato un nuovo lanciatore da 20 Switchblade con autonomia estesa di trenta minuti.
L’opinione pubblica è stata abituata a riconoscere i Reaper ed a credere fossero i principali artefici dei raid nelle zone di crisi. Tuttavia, soltanto in Afghanistan nell’operazione Enduring Freedom, gli Usa hanno schierato oltre quattromila Switchblade. Al programma Lethal Miniature Aerial Munition System del Pentagono partecipano alcuni dei più grandi appaltatori della difesa del pianeta. Textron Inc. con la sua bomba volante Battlehawk e Lockheed Martin con il suo Terminator. Al programma partecipano anche gli israeliani, con l’Hero-30 prodotto dalla uVision. Pesante tre chili, Hero-30 ha una testata da 500 grammi ed un‘autonomia di 40 km. La tecnologia dei droni non è da tempo esclusiva pertinenza dei militari. Con poche centinaia di euro, chiunque può acquistare un drone stabilizzato dotato di telecamera HD e GPS. La pronta disponibilità di questo tipo di tecnologia offusca la linea tra elettronica militare e commerciale. Le forze speciali Usa sono al momento alla ricerca di droni missilistici, definiti loitering munition, in grado di neutralizzare bersagli più grandi o leggermente corazzati. La richiesta dei droni kamikaze a basso costo è costante poiché utilizzati nei teatri dove non è necessario il livello tecnologico dei Reaper MQ-9 della General Atomics. Proprio in Iraq, l’Isis ha testato con successo sciami di droni contro le forze della Coalizione. I quadricotteri modificati per trasportare delle granate da 40 millimetri, sono stati utilizzati a sciame su Mosul.
Marine Corps Operating Concept
Nella nuova dottrina di riferimento per i futuri contesti operativi, l’impiego dei droni è ritenuto imperativo. L’obiettivo è quello di fornire ad ogni squadra di fanteria uno sciame di droni a basso costo. Le manovre effettuate durante il Marine Air Ground Task Force Integrated Experiment 2016 hanno validato le nuove teorie per le squadre assistite. Probabile il ricorso alla stampa 3-D per far fronte alle richieste logistiche del Corpo dei Marine. Nel Marine Corps Operating Concept previste anche delle squadriglie UCAV autonome a supporto delle unità di prima linea. A differenza dei modelli attuali come l'MQ-9 Reaper, i droni concepiti nella nuova dottrina di riferimento saranno del tutto autonomi. Il controllo dello sciame avverrà tramite una sorta di auricolare audio. Invece di avere un flusso costante di dati che richiedono un operatore a tempo pieno per rivedere e interpretare le immagini, i droni si gestiranno autonomamente e saranno in grado di reagire alle minacce. Il nuovo concetto di autonomia si basa sulla presenza umana nel ciclo decisionale nell’esclusivo impiego della forza letale. In tutti gli altri casi, gli UCAV saranno autonomi. Lo sciame ipotizzato dal Corpo dei Marine sarà composto da un minimo di dieci ad un massimo di 40 droni di diversi tipi. Il drone tattico RQ-11 Raven ha un'autonomia di circa 90 minuti. La nuova componente UCAV a supporto dei Marine dovrà volare per 12 ore o, comunque, il tempo necessario per completare una singola missione. Qualora la situazione lo richiedesse, i droni saranno in grado di assicurare una presenza persistente. Secondo il rapporto, un equipaggio di terra formato da tre persone, dovrebbe essere in grado di gestire una formazione di 40 droni il cui peso dovrà essere compreso tra i due ed i dodici chili. Lo sciame sarà formato da diversi come lo Switchblade, con testata esplosiva da mezzo chilo. Previste anche una serie di micro-munizioni a guida laser o GPS. Lo sciame armato a basso costo è concepito per annullare i tempi di attesa di un supporto aereo classico.
Il ruolo dell'intelligenza artificiale: Il processo decisionale
Gli scienziati stimano che entro i prossimi dieci anni la tecnologia sarà abbastanza matura per sviluppare un’arma autonoma in grado di decidere chi o cosa distruggere. Le insidie che si nascondono dietro la tecnologia autonoma e l’intelligenza artificiale sono molte, così come le implicazioni giuridiche ed etiche. Ad oggi, quando si tratta di Warfighting, l’uomo fa sempre parte dell'equazione. Ma sarà sempre cosi? I sostenitori delle armi autonome affermano che tali asset contribuiranno a ridurre i costi e le vittime in guerra. Diverso il punto di vista di chi crede, invece, che l’IA sarà impiegata su larga scala e con un grado sempre maggiore di autocoscienza. Appare evidente che sono necessarie delle regole per governare la futura guerra gestita dalle IA, con la consapevolezza che non tutte le potenze mondiali potrebbero non rispettarle. Ad esempio Hanwha: è uno dei maggiori produttori di armi della Corea del Sud. Produce munizioni a grappolo che sono vietate in 120 paesi in base ad un trattato internazionale. Tuttavia Corea del Sud, Stati Uniti, Russia e Cina non sono firmatari della convenzione. Prima ancora di costruire un Terminator sarebbe imperativo scrivere delle leggi che dovranno vincolari tutti i paesi nel mondo. Nessuno dovrebbe costruire delle macchine totalmente auto-coscienti. E’ imperativo capire quale sia il limite prima di creare qualcosa come un Terminator fisico o informatico. L’uomo dovrà sempre essere inserito nel ciclo decisionale.
Lo studio del Defense Science Board
“Il Dipartimento della Difesa deve accelerare lo sviluppo di sistemi automatizzati, sia per il loro valore militare che per mantenere il vantaggio tecnologico sugli avversari.
Macchine e computer in grado di elaborare molti più dati rispetto a quanto possano fare gli umani, permetteranno agli Stati Uniti di scardinare l’asset di un avversario. Questo è il motivo per cui è vitale per gli Stati Uniti mantenere un vantaggio militare. Tuttavia dobbiamo essere in grado di consentire ai team umani e non di intervenire, correggere o interrompere le azioni in modo tempestivo e appropriato qualora si verificasse un problema con l’IA. La macchina deve essere verificabile ed in grado di conservare e comunicare un immutabile e comprensibile ragionamento dietro le sue decisioni, a sostegno delle azioni compiute”. Nello studio della Defense Science Board, si consiglia al Dipartimento della Difesa, di “effettuare una serie di esperimenti sui prototipi che potrebbero dimostrare un chiaro valore operativo”.
Visualizing the Tactical Ground Battlefield in the Year 2050
Il campo di battaglia tattico del 2050 supererà tutte le aspettative dal momento che robot assassini e Super-Umani avranno un ruolo di primo piano nelle guerre del futuro. Questa la previsione del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e della US Army Research Lab (ARL), in uno studio dal titolo "Visualizing the Tactical Ground Battlefield in the Year 2050”.
“Il campo di battaglia del futuro sarà popolato da un numero inferiore di esseri umani. Quelli sul campo di battaglia, però, avranno capacità fisiche e mentali superiori. Avranno una migliore percezione dell’ambiente e saranno più forti, intelligenti e potenti. Combatteranno fianco a fianco ai Killers Cacciatori Automatizzati di vario genere. Il successo nella guerra del futuro sarà determinato da sette fattori: realtà aumentata, processo decisionale automatizzato, nuove armi, mira computerizzata, auto-organizzazione su larga scala, modellazione cognitiva dell'avversario, capacità di reazione in un ambiente estremo con scarse informazioni”.
Nel rapporto, si elencano anche le truppe del futuro: robot assassini autonomi prodotti su larga scala e pochi umani. Questi ultimi, però, per reggere il confronto con le truppe automatizzate dovranno essere equipaggiati con tecnologia di ultima generazione.
I Super-Umani
“Dotati di esoscheletri avanzati, i Super-Umani gestiranno una serie di tecnologie che garantiranno loro un’agevole rilevamento e miglioramenti cognitivi. I Super-Umani saranno delle macchine da guerra spaventose ed inarrestabili: saranno corazzati e dotati di armi laser. Considerando che la comunicazione, nello scenario del futuro, sarà fondamentale, si dovrà schermare l’esoscheletro contro ogni attacco (Emp, hacker) nemico. Uno scudo di energia (sappiamo che già esistono) potrebbe essere una soluzione anche se allo studio ci sono dei robot-cloud che avrebbero il compito di schermare l’operatore dagli attacchi informatici. La stessa armatura del Super-Umano dovrà essere autorigenerante, in grado di mimetizzarsi, apprendendo dall’ambiente circostante e garantire un’ottimale fonte di alimentazioni a tutti i sistemi implementati”. Quattro le possibili fonti di energia: energia nucleare mobile, alimentazione wireless, energia rinnovabile organica e capacità di attingere alle infrastrutture nemiche. “I Super-Umani saranno dotati di ‘leeches’ (sanguisughe). Droni lanciati dall’operatore verso una fonte di energia. Giunti a destinazione, i leeches trasmetteranno l’energia all’esoscheletro dell’umano”. Appare evidente, che il primo obiettivo della guerra del 2050 saranno le fonti di energia per mantenere operativi robot e Super-Umani sul campo di battaglia.
“I Super-Umani dovranno essere diversi anche senza l’equipaggiamento che gli forniremo. Ecco perché la possibilità di modificare il loro DNA va presa in seria considerazione. I Super-Umani dovranno avere migliori capacità fisiche e cognitive del soldato dei reparti speciali. La presenza dei super soldati sul campo di battaglia del 2050 è altamente probabile, considerando che le varie componenti necessari per consentire questo sviluppo esistono e sono in fase di rapida evoluzione".
Il Programma BRAIN
L'esercito americano continua a sviluppare una interfaccia neurale impiantabile in grado di colmare il divario tra la mente umana ed i computer. Il nuovo sistema, che mira a velocizzare il trasferimento dei dati tra il cervello ed il mondo digitale, rientra nel programma BRAIN, fortemente voluto dall’ex amministrazione Obama. Il programma BRAIN o Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies è sviluppato dalla DARPA. Si parla di un “dispositivo biocompatibile impiantabile non superiore ad un centimetro cubo. Agirà come un traduttore per convertire il linguaggio elettrochimico dei neuroni del cervello in codice binario". L’obiettivo del più ampio programma Neural Engineering System Design è quello di aumentare la velocità di trasmissione e ricezione dei dati tra mente umana e macchine. La DARPA intende sviluppare un sistema in grado di comunicare con un massimo di un milione di neuroni alla volta. Oltre all’applicazione in campo militare, tale interfaccia neurale potrebbe fornire un valido supporto nel campo della neuroscienza. Il programma NESD annovera anche il Restoring Active Memory (RAM). RAM dovrebbe essere in grado, grazie ad un’interfaccia neurale impiantabile, di ripristinare i ricordi perduti in soggetti con lesioni cerebrali traumatiche. La DARPA spera di creare un modello di calcolo multi-scala che possa descrivere “il codice sorgente della memoria”.
Il prossimo passo della DARPA sarà quello di creare una interfaccia neurale con la capacità di colmare “le lacune nel flusso di memoria nel cervello dopo una lesione traumatica”. L'impianto stimolerebbe il cervello per aiutare a ripristinare la sua capacità di creare nuovi ricordi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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