L'escalation diplomatica tra il cosiddetto mondo occidentale e la Russia preoccupa le aziende italiane a cui le attuali sanzioni e contro sanzioni in vigore dal 2014 sono già costate più di dieci miliardi di euro di mancate vendite. Almeno secondo le cifre prudenziali di Coldiretti. Nel 2013, l'anno prima che scoppiasse la crisi in Ucraina per l'annessione della Crimea da parte della Russia, il totale delle esportazioni tricolori verso Mosca ammontava a 10,7 miliardi, mentre lo scorso anno si è chiuso con un export di 7,9 miliardi. A pesare sono state le misure adottate dal marzo 2014 da Bruxelles, prorogate fino a oggi di sei mesi in sei mesi, e le conseguenti risposte di Vladimir Putin. E lo scenario potrebbe precipitare ulteriormente dopo l'espulsione avvenuta ieri di oltre cento diplomatici russi da Stati Uniti e da 14 Paesi europei, Italia compresa, in seguito all'avvelenamento dell'ex spia russa Sergei Skripal e della figlia Yulia avvenuto lo scorso 4 marzo a Salisbury, in Gran Bretagna. «Reagiremo» ha minacciato Mosca. E l'economia italiana inizia a farsi i conti in tasca.
«Stanno aumentando le telefonate dei nostri soci che temono un inasprimento del clima di cui l'Italia sarebbe il Paese più danneggiato» sostiene Rosario Alessandrelli, presidente della Camera di Commercio Italo-Russa. «Siamo preoccupati perché per noi la Russia è un mercato molto importante, dove stiamo investendo nell'organizzazione della prossima edizione dei Saloni WorldWide Moscow» gli fa poi eco Emanuele Orsini, presidente di FederlegnoArredo che sottolinea poi come il Salone, che a ottobre festeggia la sua 14° edizione, sia riuscito a tamponare l'emorragia seguita alle sanzioni, alla successiva crisi economica e alla svalutazione del rublo, mantenendo le posizioni delle aziende italiane. Oggi l'export di FederlegnoArredo verso Mosca vale 530 milioni.
«La Russia è tra i mercati privilegiati dell'export tricolore, in particolare del design, dell'agro alimentare e della moda, ma sfortunatamente la crisi ucraina ha già avuto come prima conseguenza l'aver spazzato via dal mercato russo numerose piccole e medie imprese italiane che esportavano specialità nostrane. Si consideri che fino al 2014, il 50% dell'uva da tavola che approdava nei supermercati russi proveniva da aziende pugliesi e siciliane. Ora questa percentuale è scesa a zero». E lo scenario potrebbe peggiorare. «Occorre considerare anche l'ambito delle grandi opere che potrebbe risentire di un ulteriore deterioramento politico e di una stretta sui finanziamenti in valuta. Da Astaldi, a Danieli fino a Technimont, numerose imprese italiane operano sul territorio».
Tra le presenze di peso nel territorio della Federazione si annoverano anche quelle di Pirelli (che vanta due stabilimenti), Parmalat (con due impianti di un centro logistico) Eni (che ha due progetti esplorativi con Rosneft nel Mar Nero e acquista gas dalla Federazione), Enel (Enel Russia ha sede a Mosca e possiede quattro filiali di produzione sul territorio), Buzzi Unicem (controlla uno dei maggiori cementifici russi nella regione di Ekaterinburg), Biesse, Cnh, oltre tra le non quotate a Perfetti (che ha un impianto a Novgorod), Cremonini, Menarin, Marcegaglia, Mapei, Indesit (che conta due fabbriche e un polo logistico), Ferrero. Per ora nessuno prende ufficialmente posizione, ma i timori sono tanti.
E non solo legati a un ulteriore giro di vite di sanzioni e contro sanzioni. Una guerra commerciale ed economica alla Russia potrebbe impoverire il Paese e ripercuotersi sulle attività detenute dalle nostre aziende oltre confine e indirettamente sugli stessi gruppi tricolori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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