Campeggia a caratteri cubitali, proprio sopra il castello di Rihemberk, in Slovenia, una scritta che rievoca spettri del passato. Soprattutto per le genti del nostro Carso. È una parola di quattro lettere, ogni lettera è composta da grossi massi e non deve essere stato facile portarli lassù. Macigni bianchi che compongono un nome: Tito che sta per Josip Broz Tito. Il maresciallo, capo del partito comunista jugoslavo e della federazione jugoslava. Persecutore d’italiani e responsabile dell’esodo e delle foibe.
A notarla è stato proprio un gruppo di triestini, arrivato ai piedi della collina Gollic per visitare l’antico maniero dove soggiornò anche Carlo Goldoni. Gli ex proprietari, i conti Lantieri di Gorizia, furono costretti ad abbandonarlo alla fine della Seconda guerra mondiale, e per un pelo riuscirono a portare a casa la pelle. Non accadde altrettanto alla colonna italo–tedesca che all’ombra di quella fortezza venne attaccata e neutralizzata dopo ore di combattimenti feroci. Rimasero un pugno di superstiti che vennero derubati ed arsi vivi dai partigiani slavi. Solo un milite italiano riuscì miracolosamente a scampare alla mattanza. Questa però è una vecchia storia, datata 1944, e in pochi la conoscono.
Tra quei pochi c’è Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli istriani, che ha raccolto la segnalazione del gruppo di vacanzieri. "In quel luogo dovrebbero erigere un monumento alla pace. È una vergogna che a pochi chilometri dalle città martiri di Trieste e Gorizia esista un obbrobrio simile", ci dice. "Ricordo sommessamente che appena due anni fa il presidente sloveno Borut Pahor teneva per mano Mattarella davanti alla foiba di Basovizza. Se quel gesto rispecchiasse davvero il sentiment e le intenzioni delle autorità di Lubiana, uno scempio del genere non verrebbe tollerato". Cosa rimane della comunione d’intenti suggellata dai due presidenti? Lacota è tranchant: "Una bella foto ricordo".
Stando a quello che abbiamo potuto ricostruire, l’installazione è apparsa per la prima volta nel 1953, per celebrare l’arrivo del maresciallo a Nova Gorica. Si è conservata intatta fino ai giorni nostri grazie all’operosità di gruppi di nostalgici del titoismo – semplici "privati" a sentire il sindaco Klemen Miklavic – che hanno persino provveduto ad ancorare i massi al suolo. Tutto ciò con il benestare dell’amministrazione locale che non ha mai mosso un dito per ostacolare questo macabro rituale.
"Lungo il confine sloveno esistono già due scritte analoghe a questa, una sul monte Sabotino e una sul monte Cocusso. Sono decenni che ne chiediamo la rimozione. Ovviamente nessuno ha mai provveduto. È indicativo – conclude Lacota – del vero clima che c’è di là".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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