Il quotidiano "The Guardian" rivela il piano del premier inglese David Cameron contro i tagliagole dell'Isis in Siria. L’intervento britannico punta su due livelli: uno militare, con raid aerei limitati per eliminare "le menti (i vertici) che controllano" l'Isis; sul piano diplomatico, invece, rilanciando un’intesa diplomatica che, "con la benedizione della Russia (con l’Iran il principale alleato di Assad) e della Cina", preveda "la costituzione di un governo di unità nazionale" in cui a "Bashar Assad sarà concesso di restare presidente per un periodo di transizione di massimo sei mesi".
Sarebbe questo il piano su cui Cameron sta lavorando con determinazione ma prudenza, "per scongiurare una nuova sconfitta ai Comuni", come avvenne nel 2013 quando il parlamento britannico bocciò la proposta di condurre raid aerei in Siria, all’epoca solo contro il regime di Assad (considerato la minaccia prioritaria), solo perché l'Isis ancora non si era ancora manifestata in tutta la sua virulenza.
La strategia di Cameron sottolinea l'isolamento degli Usa.
Se anche l'alleato numero uno di Washington sposa la linea della reapolitik (e di fatto dell'accordo con i russi), si capisce come la diplomazia Usa debba correre ai ripari per non essere relegata, ancor di più, tra gli attori di seconda o terza fila, senza più un ruolo di leadership nello scacchiere geopolitico dell'area mediorientale.
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