Skeleton Coast, il luogo infernale che terrorizza i marinai

Skeleton Coast è un luogo che non lascia scampo. Venti che portano sabbia e nebbia e onde dell'Atlantico rendono la costa pericolosa e inospitale. E i relitti costellano tutta la lunga striscia di terra

Skeleton Coast, il luogo infernale che terrorizza i marinai

Una lunga spiaggia divisa tra l'oceano Atlantico e le dune di sabbia della Namibia. I boscimani la chiamano "la terra che Dio ha fatto con rabbia", i marinai portoghesi, che per primi provarono a circumnavigare l'Africa passando il capo di Buona Speranza, la chiamavano "le sabbie dell'inferno". Per tutti, oggi, è Skeleton Coast, la "costa degli scheletri". Un luogo affascinante e allo stesso tempo spettrale, chilometri di costa dove il clima è uno dei più inospitali del mondo. La corrente del Benguela scorre da sud a nord rendendo impossibile la navigazione. Il vento, prevalentemente di terra, crea degli inquietanti banchi di nebbia e sabbia da cui è difficilissimo uscirne. La sabbia viene modellata per centinaia di metri dalla riva e, mischiata dalla violenza delle onde, crea dei muri subacquei che incastrano qualsiasi nave si avvicini troppo alla riva. Il caldo è torrido e piove pochissimo. E per chi si addentra al di là delle prime dune di sabbia, quello che trova è un paesaggio desolante di sabbia, qualche roccia e acquitrini che si trasformano in trappole mortali.

Sul nome per cui oggi è nota, la "costa degli scheletri", le interpretazioni sono diverse. C'è chi ritiene che tutto nasca dalla vista delle ossa di balena e altri animali spiaggiati, che nel tempo i marinai, soprattutto portoghesi, riportavano nelle loro cronache alimentando le leggende su questo vero e proprio incubo per chiunque solcava le acque dell'Atlantico verso Buona Speranza. Qualcuno ritiene che il nome si debba a un giornalista, Sam Davis, che parlando di un incidente aereo avvenuto in quell'area scrisse che il pilota l'avrebbero ritrovato nella di Skeleton Coast, la costa degli scheletri, appunto. Altri fanno riferimento invece al libro scritto da John H. Marsh, appunto "Skeleton Coast", che narra il drammatico salvataggio degli uomini della MV Dunedin Star, incagliata nelle terrificanti sabbie della Namibia dal novembre del 1942 e lì rimasta per decenni.

Oggi in larga parte il nome viene collegato all'alto numero di relitti presenti su quella terra fatta di dune, sabbie mobili e onde dell'oceano. Relitti che hanno cominciato a popolare quel luogo dalle prime esplorazioni europee e che hanno continuato ad aumentare fino a essere talmente tante da diventare un'attrazione turistica, oltre che trasformare l'area in un grande cimitero di navi. Scheletri che raccontano disastri, eroici tentativi di sopravvivenza, ma anche epiloghi tragici, quelli di interi equipaggi morti cercando disperatamente di trovare riparo e che, dopo aver abbandonato la nave, hanno camminato per chilometri fino a essere divorati dalla sete o dagli animali selvatici che popolano quel territorio, in particolare sciacalli e iene.

Una terra inospitale e pericolosa in cui riecheggia il nome infernale dato dai marinai portoghesi e che non sembra destinata a cambiare, ma anzi ad arricchirsi di nuove imbarcazioni ed equipaggi sventurati il cui unico errore è stato quelli di addentrarsi su una rotta che non lascia scampo.

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