Alimenti scaduti: ecco fino a quando si possono mangiare

In Gran Bretagna diverse catene della grande distribuzione toglieranno la data di scadenza dalle etichette. Gli esperti consigliano altri strumenti, come l'uso dell'olfatto, per capire se il prodotto può essere consumato

Alimenti scaduti: ecco fino a quando si possono mangiare

Non è facile andare a fare la spesa e comprare solo prodotti che riusciremo a consumare in tempi brevi. Le tentazioni sono tante. Si acquista un alimento perché in quel momento sentiamo forte il desiderio di mangiarlo oppure lo si prende dallo scaffale perché ipotizziamo che possa servirci, anche se non nell’immediato. Ma capita che a volte ci si dimentichi di averlo a casa. Il tempo, intanto, scorre inesorabile. E così quel prodotto invece di finire sulle tavole viene scaricato nella spazzatura a causa della data di scadenza.

Una brutta abitudine molto in voga nella Ue: in base a dati del 2018, ricorda la Nazione, sono finiti nella spazzatura 88 milioni di tonnellate di prodotti. Ben il 10% è stato gettato perché era stata superata la data di consumo indicata sull’etichetta. Un danno economico per i consumatori ma anche un problema morale, visto che ci sono aree del Pianeta dove si soffre la fame.

In Gran Bretagna si sta cercando di limitare il problema dello spreco alimentare con una mossa semplice: eliminare la dicitura "da consumarsi preferibilmente entro" in 500 prodotti freschi, tra cui agrumi, insalate e verdure. Grandi catene della distribuzione come Telco, Mark&Spencer, Morrisons e Waitrose stanno già agendo in questa direzione. Nella Ue una mossa simile è al momento impensabile perché vietata dalle normative. Ma la Gran Bretagna, dopo Brexit, non deve più sottostare a tali regolamenti e può decidere da sé.

Vi è un punto importante da sottolineare: le etichette prevedono due diciture che non devono essere confuse. Una, "da consumare entro", è usata per prodotti come latte e latticini, yogurt e formaggi freschi, carne e pesce e prevede un limite temporale che rappresenta una vera e propria data di scadenza. Oltre il giorno indicato il prodotto in questione non deve consumato perché potrebbe costituire un pericolo per la salute.

La seconda, invece, riguarda il Termine minimo di conservazione (Tmc) ed è indicata con la scritta "da consumare preferibilmente entro". Riportata su conserve di pomodoro, olio, pasta, riso, biscotti, prodotti in scatola, indica una data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue caratteristiche organolettiche, gustative e nutrizionali. Dopo l'alimento è ancora consumabile in un arco di tempo non troppo lungo ma potrebbe perdere alcune caratteristiche.

In base a una ricerca condotta da Altroconsumo, solo il 37% degli italiani conosce la differenza fra le due diciture. E così molti gettano nella spazzatura del cibo che potrebbe essere ancora consumato. Per evitare lo spreco alimentare uno strumento utile, arrivato anche in Italia, è la app "Too Good to go" che ha lanciato l'iniziativa "Etichetta consapevole". In pratica con la dicitura di "Spesso Buono Oltre" che appare sui prodotti con il Tmc si vuole incoraggiare i consumatori a provare altri strumenti, come i propri sensi, per "provare" il prodotto prima di gettarlo.

Diversi i gruppi che hanno iniziato ad usare l'etichetta come Gruppo VéGé, NaturaSì, Nesté, Bel Group, Fruttagel, Granarolo, Salumi Pasini, La Marca del Consumatore Raineri, Raspini Salumi, Wami. Ad oggi sono stati messi in commercio più di 10 milioni di prodotti che presentano tale dicitura. Si conta di arrivare quest’anno ad almeno 50 milioni di prodotti, anche grazie alla collaborazione di nuovi partner. L’Etichetta consapevole pare avere ottenuto già uno straordinario risultato: il 73% di persone intervistate ha risposto che, con la nuova dicitura, è pronto a usare i propri sensi per capire se un prodotto può essere consumato o, invece, deve essere gettato.

Come spesso accade nella vita su ogni questione esistono diverse opinioni. Giorgio Santambrogio, vice presidente di Federdistribuzione e ad del gruppo VèGè, spiega che sarebbe importante incentivare campagne di informazione, lasciando la scelta al consumatore. Diversa la posizione di Coldiretti che boccia la scelta britannica perché "con la scusa di ridurre lo spreco si rischia di tagliare di fatto la qualità".

Per di più, secondo Ermanno Coppola, responsabile qualità dell’associazione, non si può essere certi che senza date si possano ridurre gli sprechi "perché i consumatori sarebbero più incerti e confusi". In fondo, potrebbe scattare una questione di abitudine.

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