Soltanto due erano le possibilità. Che a colpire di nuovo Istanbul fosse stato il sedicente Stato islamico, che nella sua propaganda ha di recente attaccato con forza la Turchia, minacciando attacchi a un Paese che vede ormai come nemico, o che il duplice attentato fosse da attribuire ai curdi del Tak, gruppo vicino al Pkk e già responsabile di attacchi devastanti, qui come ad Ankara.
La risposta al quesito che questa mattina tutti si ponevano è arrivata nel pomeriggio, quando sul sito ufficiale del Tak (Falconi per la libertà del Kurdistan) è comparso un comunicato con il quale si attribuisce la responsabilità per le trentanove persone (per la maggior parte poliziotti, ma anche sette civili) che hanno perso la vita quando un'autobomba e un attentatore suicida sono esplosi a pochi secondi di distanza ieri notte, al parco di Macka e fuori dalla Vodafone Arena, casa del Besiktas.
È lutto nazionale, oggi, in Turchia, dove tredici dei 136 feriti sono ancora ricoverati in terapia intensiva, un dettaglio che fa temere che il bilancio finale delle vittime possa aumentare, mentre nella città sul Bosforo, al quartier generale della polizia, si celebrano i funerali di cinque ufficiali che hanno perso la vita.
Da giugno, da prima del fallito colpo di Stato, Istanbul non assisteva a un momento drammatico come quello di ieri notte. Allora a colpire era stato il terrorismo islamista, all'aeroporto Ataturk. Ieri un gruppo che ha altri obiettivi e che già in passato ha colpito, prendendo di mira soprattutto polizia e uomini legati allo Stato, ma falcidiando anche i comuni cittadini, come accadde a marzo ad Ankara, quando il Tak assestò un duro colpo nella zona centralissima di Kizilay.
Molte le ragioni citate dal gruppo terrorista nel loro comunicato, dall'imprigionamento di Abdullah Ocalan, leader del Pkk alla cui visione si rifa anche il Tak, alla situazione nel Sud-est della Turchia, dove gli scontri si sono riaccesi cruenti tra le forze di sicurezza e la guerriglia, in uno stillicidio che aggiunge altre vittime da ambo le parti, e tra i civili, a una lotta che va avanti da tre decenni.
Non si limitano al territorio turco le azioni intraprese da Ankara contro la guerriglia curda. L'intervento nel nord della Siria è stato dettato in gran parte dalla volontà di ricacciare indietro le milizie del Pyd, ideologicamente vicine alle posizioni del Pkk, ma d'altro canto alleati fondamentali degli Stati occidentali nella lotta all'Isis. In Iraq, più volte sono state prese di mira le montagne di Qandil, bastione dove i guerriglieri si ritirarono quando, nel 2013, Ocalan dichiarò un cessate il fuoco che non ha resistito alla prova del tempo.
Nel frattempo il Hdp, partito filo-curdo è nel mirino, considerato - come molti dopo il fallito golpe - troppo vicino al Pkk. Molti dei leader sono in carcere e molti degli amministratori locali hanno subito la stessa sorte, con i comuni affidati a commissari governativi fedeli all'Akp, partito di maggioranza di cui fa parte il presidente Erdogan.
Prima o poi avremo la nostra vendetta - ha detto questa mattina il
ministro dell'Interno, Suleyman Soylu -. Questo sangue non resterà sul terreno, non importa quale sia il prezzo". Tredici persone sono state fermate da ieri, sospettate di un coinvolgimento negli attentati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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