Draghi assente al summit sull'Ucraina: cosa è successo

L'ultimo summit ha avuto come interlocutori Biden, Johnson, Scholz e Macron. Palazzo Chigi assicura: nessuna diminutio per il ruolo italiano. Ecco cosa c'è dietro

Draghi assente al summit sull'Ucraina: cosa è successo

Videoconferenza a quattro tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier britannico Boris Johnson. Il tema è stato solo uno: l'Ucraina. E di conseguenza cosa poter fare con la Russia dopo che il presidente Vladimir Putin ha fatto capire di non essere disposto a fermarsi senza aver raggiunto quelli che il Cremlino ritiene i propri obiettivi strategici.

Per ora l'Occidente ha risposto compatto, ma sul nodo sanzioni rimangono divergenze di fondo. La Casa Bianca, dopo l'incontro virtuale, ha diramato una nota in cui è scritto che i Paesi sono "determinati a continuare ad aumentare i costi" che la Russia sarà costretta a pagare. Tuttavia, sul tema energetico - gas ma anche petrolio - le crepe continuano a esserci in questo muro euro-atlantico. La Germania, infatti, ha già detto che non è molto contenta di questo tipo di sanzioni. La dipendenza dagli idrocarburi russi è troppo elevata e uno sganciamento rapido praticamente impossibile. Serve una mediazione, una soluzione. E Berlino la vuole ogni costo prima che sia troppo tardi. La partita è fondamentale. Non solo per la Germania, ma anche per l'Europa. E nei Paesi più coinvolti dalle conseguenze di queste decisioni c'è soprattutto l'Italia, che non solo dipende in larga parte dal gas russo, ma ha anche diversi interessi strategici su cui incidono i piani di Mosca. Eppure l'Italia, anche da quest'ultimo tavolo, è rimasta esclusa.

Nelle ultime ore non è mancato chi ha mugugnato su questa assenza ma, come spiegato dal Tempo, "da Palazzo Chigi è filtrato che fosse un format inizialmente previsto così, e dunque nessuna diminuito per il ruolo italiano". Tuttavia, non si può non scorgere l'ombra di un problema: l'assenza italiana nel rientrare in partite che contano a livello europeo nonostante la presenza di un capo di governo ritenuto più che autorevole in tutta l'Unione europea.

Certo, i format di una riunione virtuale vengono pianificati diverso tempo prima, e questo implica tempistiche e programmi scanditi in modo preciso. Ma nulla vieterebbe di modificarli in corso d'opera, soprattutto se si ritiene indispensabile o quantomeno utile la partecipazione di un Paese. E l'Italia dovrebbe fare di tutto per rientrare in questi tavoli, perché non solo ha necessità di capire l'impatto delle sanzioni prima che esse vengano decise, ma anche perché con la Russia esistono questioni spinose su dossier per Roma centrali: il Sahel, per esempio, dove Mosca è già arrivata con i mercenari della Wagner; e la Libia, dove non va dimenticato il peso del Cremlino in alcune scelte, soprattutto dalle parti della Cirenaica.

Il fatto che l'Italia ne sia tenuta fuori può essere dovuto a diverse ragioni su cui il Belpaese, va detto, può fare poco. Il primo fra tutti è che l'Italia non fa parte del cosiddetto "formato Normandia", e cioè quello che ha sempre avuto un ruolo di mediazione sul rispetto degli (ormai defunti) accordi di Minsk sul Donbass. Quel quartetto era (è) composto da Germania, Francia, Russia e Ucraina. L'Italia non ne ha mai fatto parte, e questo implica che non ha mai avuto un peso specifico sulla crisi tra Mosca e Kiev prima che scoppiasse la guerra. D'altro canto, bisogna anche prendere atto che l'Italia non fa parte del Consiglio di Sicurezza Onu, come lo sono la Francia o il Regno Unito e gli Stati Uniti, né si è mai ritagliata in questi anno uno spazio di regia su tavoli a lei anche molto vicini: basti pensare alla Libia. Cosa che invece la Germania, anche per il suo potenziale economico, ha saputo fare.

L'impressione però è che ci sia una certa riluttanza a inserire Roma nelle decisioni del consesso euro-atlantico. La presenza nel G7, l'essere Paese fondatore dell'Ue e della Nato, il fatto di avere dimostrato pieno rispetto degli impegni internazionali appaiono elementi di poco conto per le sfide che riguardano la sicurezza europea. E questo lo si nota soprattutto in una partita, quella ucraina, dove l'Italia subisce effetti ma non riesce a limitarli né a orientarli.

Forse in questo pesa anche il fatto che l'Italia non ha saputo o potuto destreggiarsi a livello diplomatico nel periodo dell'escalation, rimanendone quasi tramortita. Non è riuscita a ritagliarsi un canale di dialogo con Mosca, con l'Ue che si è sintetizzata nei tentativi franco-tedeschi. In questo senso, la telefonata di oggi tra il presidente francese, il cancelliere tedesco e il leader cinese Xi Jinping conferma l'attività diplomatica frenetica di Parigi e Berlino. Dall'altra parte, l'Italian non ha nemmeno potuto né voluto prendere la via della totale intransigenza, lasciando che fossero soprattutto i baltici a dettare la linea antirussa. E questo perché i rischi per il Patrio stivale ci sono e tutto va ponderato alla luce delle conseguenze di volere proseguire su una rotta che poi deve essere rispettata fino alle sue estreme conseguenze. Il tutto poi, con un latente ma mai risolto dubbio, specie da Oltreoceano ma anche da alcuni Paesi dell'Est, sulle "ambiguità" italiane con la Russia. Tema che ritorna ciclicamente nei rapporti tra Washington e Roma.

Ora appare necessario un cambio di passo. Lasciare che la questione ucraina resti impostata su un modello a quattro con Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania è un problema, perché quel formato è inadeguato. Non può essere un dossier di quattro potenze se sono decine di Paesi coinvolti sia a livello militare, sia umanitario, economico ed energetico. Le implicazioni sull'Europa, di cui Mario Draghi ha ribadito la straordinaria unità dimostrata, sono troppe per lasciare a decidere siano due forze esterne all'Ue e il solo asse franco-tedesco.

La partita dell'Italia è cercare di inserirsi prima che sia troppo tardi. Ma il problema è capire quali possano le basi per un allargamento dei tavoli, visto che gi altri attori stanno iniziando a muoversi. In Europa così come al di fuori di essa.

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