È un gesto inusuale, ma trattandosi di Donald Trump lascia stupiti fino a un certo punto e anzi forse lancia un messaggio a Pechino. È necessario leggere tra le righe per capire il senso e la rilevanza di una telefonata del presidente eletto statunitense con Tsai Ying-wen, il presidente di Taiwan.
Una chiamata dalla portata storica, giacché dal 1979 nessun presidente americano - nemmeno uno in attesa di insediarsi alla Casa Bianca - aveva osato rispondere al telefono alla sua controparte a Taiwan, rischiando di scatenare l'ira dei cinesi, che considerano l'ex provincia di Formosa una parte integrante del proprio territorio nazionale.
Occhio non vede, cuore non duole. Ma non per Trump. E se da quasi quarant'anni, dai tempi di Jimmy Carter, le relazioni con Taiwan sono state formalmente interrotte, dopo il riconoscimento di Pechino e nonostante l'America sia poi rimasta il grande "scudo" di Taipei, è bastata una chiamata perché in Cina iniziassero ad agitarsi.
La stampa statunitense non azzarda troppe elucubrazioni sul valore simbolico, che ci sia o meno, della chiamata di congratulazioni arrivata da Tsai Ying-wen, e a cui Trump ha risposto.
Ma ciò che è certo è la lettura che viene data a Pechino, dove si parla di "una manovra orchestrata" ad arte, mentre Obama corre a difendere lo status quo, chiarendo che "c'è un'unica Cina".Quella stessa Cina che ora chiede dei chiarimenti.
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