La tentazione della Ue: mettere al bando Orban

Il presidente dei liberali-democratici intende chiedere l'apertura di una procedura contro Budapest per le politiche anti-migranti. E i socialisti potrebbero seguire a ruota

La tentazione della Ue: mettere al bando Orban

Viktor Orban è da tempo "l'uomo dei muri", a torto o a ragione. Nonostante il premier ungherese abbia da tempo adottato politiche economiche antisistema - tra l'altro - prese a modello dai partiti euroscettici di mezza Europa, l'opinione pubblica e i media del Vecchio Continente lo hanno bollato soprattutto come l'uomo della chiusura ostinata verso gli immigrati. L'uomo della difesa dell'identità nazionale ungherese, alla faccia degli internazionalisti euroentusiasti.

Era quindi solo questione di tempo prima che qualcuno, dalle parti di Bruxelles, ne proponesse la messa al bando. Negli anni scorsi il vulcanico primo ministro magiaro si era già attirato le critiche di due leader di centrodestra come Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Si trattava però di rimbrotti rivolti alle scelte di politica interna, nell'atmosfera della campagna stampa contro le politiche (per la verità non troppo liberali) di Orban verso i media.

Oggi che l'Ungheria è tornata sulle prime pagine dei giornali nell'ambito della crisi dei migranti, con le bellicose prese di posizione del suo primo ministro ("L'Europa è invasa, l'Ungheria è il solo baluardo a difesa della civiltà cristiana"), nelle istituzioni europee c'è chi vorrebbe punire Budapest per aver deviato dalla linea. In prima fila Guy Verhofstadt, presidente dei democratici-liberali, non certo un estremista.

L'ex primo ministro belga dovrebbe infatti chiedere al Parlamento Europeo l'apertura di una procedura contro l'Ungheria, ravvisando un "grave rischio" di violazione dei princìpi e dei valori europei nella gestione della crisi dei rifugiati. Non sono piaciute le iniziative unilaterali prese da Budapest, a partire dalla costruzione del muro anti-migranti che, quando esteso ai confini interni dell'Unione, violerebbe palesemente le norme sulla libera circolazione. È di oggi la notizia per cui Budapest ha quasi completato la costruzione del muro con la Croazia, mentre il commissario per gli affari interni, Dimitris Avramopoulos, "ha in corso contatti" con le autorità ungheresi e slovene per la costruzione di una barriera tra i due Paesi.

Infastidiscono, per la verità, anche dichiarazioni francamente lapalissiane, come quelle che sottolineavano l'immobilità dei leader europei, nei lunghi mesi tra luglio e agosto, in merito alla crisi migratoria in corso nei Balcani.

E poi c'è il filo spinato, i gas lacrimogeni, il dispiegamento dell'esercito e tutto quell'armamentario usato per contenere la pressione ai confini, che all'Unione proprio non piace. Orban, del resto, era nato come politico anticomunista e vagamente liberale, per non dire libertario: era il 1989 e il giovane Viktor si presentava sulla scena politica ungherese come uno scalpitante campione della causa antisovietica.

Poi, tra il 1993 e il 1994, è arrivata la svolta a destra, verso una linea conservatrice, patriottica e identitaria, e Orban, da vigoroso difensore delle tradizioni e dell'identità nazionale magiara si è spinto sino ad elogiare la linea di Stati assai distanti dal modello Ue, come la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan. Mentre il suo partito, Fidesz (acronimo per "Alleanza dei Giovani Democratici") conquistava, nel 2010, la maggioranza assoluta necessaria a modificare la Costituzione (come poi è stato puntualmente fatto), l'opposizione interna si sfaldava, con i socialisti sommersi da scandali ed episodi di corruzione di dimensioni impressionanti. Ad oggi, il principale partito di opposizione è l'euroscettico Jobbik, molto a destra del già conservatore Fidesz.

L'opinione pubblica è schierata saldamente con Orban, se non alla sua

destra. L'astensionismo al 50%, però, non deve ingannare: Orban ha sempre fatto e continuerà a fare quello che vuole. Fino a che punto, potrebbe dirlo l'Europa. O almeno questa è l'ambizione di Bruxelles.

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