Hezbollah non è responsabile dell'omicidio dell'ex premier libanese Rafiq Hariri. Lo hanno affermato i giudici del Tribunale Speciale per il Libano durante l'udienza al termine della quale è stata pronunciata la prima sentenza per quello che nel Paese dei Cedri è ritenuto il processo del secolo.
Gli imputati, processati in absentia, sono tutti membri del Partito di Dio libanese: Salim Ayash, Habib Merhi, Hussein Oneissi e Assaad Sabra. C'era anche un quinto imputato, Mustafa Badreddine, considerato la mente dell'attentato di San Valentino, ucciso in un'esplosione a Damasco nel 2016, pare su ordine dei vertici di Hezbollah e del generale iraniano Qasem Soleimani. Tutti e cinque sono stati accusati di "complotto a fini terroristici e omicidio preterintenzionale" e di altri capi di imputazione legati all'attentato che portò all'uccisione di Hariri. Questi il 14 febbraio 2005 venne assassinato nei pressi dell'Hotel Saint-Georges a Beirut mentre transitava il suo convoglio blindato, colpito da un furgone imbottito di esplosivo. Con lui persero la vita altre 21 persone.
Il Tsl ha in fin dei conti deciso di ritenere Ayash, classe 1963, colpevole in termini personali dell'attentato, scagionando gli altri tre imputati, ma di non chiamare in causa in toto l'organizzazione Hezbollah, per il cui coinvolgimento non è stata trovata alcuna prova decisiva. La condanna di Ayash sarà decisa a L'Aja in un secondo momento. Secondo i media locali, Ayyash rischia l'ergastolo e in ogni caso sia l'accusa che la difesa possono impugnare la sentenza.
L'attentato ad Hariri, dimessosi appena quattro mesi prima dalla carica di premier, aprì la strada a profondi mutamenti politici per il Libano. Sul breve periodo la responsabilità morale per la morte dell'ex premier fu addossata alla Siria di Bashar al-Assad, le cui truppe presenti da diversi decenni nel Paese furono costrette alla ritirata; tuttavia in seguito Said Hariri, figlio ed erede politico dell'ex premier, ha dichiarato al quotidiano saudita al-Sharq al-Awsat, che a suo parere le accuse a Damasco erano state eccessivamente precipitose. Si era nel 2010: allora gli sconvolgimenti delle Primavere Arabe e della guerra civile siriana erano ben al di là da venire, e Hariri junior, che da un anno ricopriva il ruolo del padre, era intento in un operato di complesso bilanciamento tra le componenti sunnite di cui era espressione e gli sciiti di Hezbollah.
Dopo tredici anni di indagini, il Tribunale Speciale per il Libano potrebbe dunque emettere una sentenza finale clamorosa, dividendo l'organizzazione chiamata a lungo sul banco degli imputati e i singoli responsabili. "La Camera di primo grado è del parere che la Siria e Hezbollah possano aver avuto motivi per eliminare Hariri ed alcuni dei suoi alleati politici. Tuttavia, non ci sono prove del coinvolgimento della leadership di Hezbollah nell'omicidio di Hariri né ci sono prove dirette del coinvolgimento siriano", ha affermato il presidente del Tribunale, l'australiano David Re. Parole che certo non segnano la parola "fine" per un processo infinito. Tra inquinamenti di prove, depistaggi e focalizzazione sulla pista Hezbollah, il processo Hariri ha assunto proporzioni mastodontiche, specie dopo l'avvio del round finale di udienze dal settembre 2018 in avanti. "Più di 2.200 prove sono state aggiunte al fascicolo", scrive Globalist, "e più di 300 testimoni sono stati ascoltati, tra cui, nel 2015, Fouad Siniora, il leader druso Walid Joumblatt e l'ex ministro Marwan Hamadé, anch'egli vittima di un tentativo di omicidio nel 2004. La difesa farà appello all'ex presidente Emile Lahoud e a Jamil Sayyed nel giugno 2018".
Il processo ha diviso il Libano, polarizzato un Paese intero già in difficile equilibrio nel caos mediorientale, una sentenza eccessivamente dura porterebbe all'insurrezione di Hezbollah, il cui segretario generale Hassan Nasrallah ha già dichiarato che "non riconoscerà" alcun verdetto del Tsl contro il Partito di Dio. «Lo considereremo come se non ci fosse mai stato», ha detto Nasrallah, certo che "il verdetto è pronto già da anni". A poche ora della sentenza, ecco una svolta potenzialmente clamorosa. Tanta e tanto tangibile era la tensione nel Paese nelle ultime settimane che quando il 4 agosto si è verificata l'ancora enigmatica esplosione al porto di Beirut, causa di oltre 200 morti, nella capitale e nel Paese è sorto immediata l'idea che potesse essere in qualche modo collegata all'imminente sentenza. Difficile affermarlo, per quanto la detonazione non abbia fatto altro che aggiungere caos a caos: attendendo la sentenza e gli sviluppi del processo Hariri, su cui però appare probabile che in futuro si debba tornare a indagare su ben altri presupposti. E scavando nella sua storia recente il Libano può venire vedere alla luce ferite dolorose che parevano dimenticate.
Molto dipenderà dalle motivazioni della condanna di Ayash e dagli atti che accompagneranno e approfondiranno le dichiarazioni di Re sul Partito di Dio: la sentenza avrà un enorme peso politico sull'assetto interno del Paese dei Cedri.
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