Turchia, cosa c'è dietro l'arresto dei giornalisti? Erdogan vuol distruggere il suo nemico

La Turchia si allontana sempre di più dall'Europa. L'arresto del direttore di Zaman, principale giornale di opposizione, è una ritosione contro Gulen, acerrimo nemico di Erdogan

Erdogan e Gulen
Erdogan e Gulen

Il governo turco fa quadrato intorno a Erdogan, accusato da Europa e Stati Uniti di reprimere la libertà di espressione dopo l'arresto del direttore del principale giornale di opposizione e di altre decine di persone. Ankara non può accettare "critiche pesanti" sugli arresti diretti contro rappresentanti dei media, ha detto il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, accusando l’Ue di "non essere sincera" nel suo approccio verso la lotta della Turchia contro il presunto "stato parallelo" che minaccia le istituzioni. "L’Ue ha criticato duramente un processo legale dopo l’arresto di alcuni giornalisti e ci sono state anche minacce contro di noi di fermare i negoziati d’adesione - ha detto Cavusoglu durante una conferenza stampa -. L’approccio dell’Ue non è sincero". Accuse molto pesanti contro il Vecchio continente. Cavusoglu ha precisato che le persone arrestate non sono sotto inchiesta per le loro attività giornalistiche, ma perché fanno parte di "un’organizzazione criminale" e ha criticato anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) che chiedeva il rilascio dei giornalisti: "Parlate di separazione dei poteri e indipendenza della giustizia, ma allo stesso tempo ordinate ad un organo esecutivo di liberare persone arrestate". Insomma, da quell'orecchio la Turchia non vuole proprio sentire. Non accetta ingerenze, come ha detto a caldo Recep Tayyip Erdogan subito dopo le prime proteste dell'Ue: "Pensate ai fatti vostri". Ammonendo Bruxelles a non interferire "con le misure intraprese e con lo stato di diritto contro elementi che minacciano la nostra sicurezza".

Eppure la Turchia vuole (o voleva?) entrare in Europa. Quindi non dovrebbe scandalizzarsi se qualcuno, da Bruxelles, fa la voce grossa. Per realizzare la sua "nuova Turchia" Erdogan è disposto a comprimere la democrazia, allontanandosi definitvamente dal Vecchio continente. Probabilmente, viste le resistenze incontrate, a Erdogan non si interessa neanche più l'Europa, non vuole perderci tempo. Ormai è acqua passata. Così si comporta da "sultano" e, come sua prima regola, oltre ai sogni (e i segni) di grandezza, c'è quella di non lasciare in pace gli avversari-nemici più "pericolosi". Ecco perché domenica è scattata la retata che ha portato agli arresti.

Il bersaglio dell’operazione è Zaman, principale giornale dell'opposizione (circa 1 milione di copie) e altri personaggi legati al gruppo mediatico Samanyolu. Al di là delle accuse formali la loro "vera" colpa è questa: sono vicini a Fethullah Gulen, predicatore e politologo turco che dal 1999 vive negli Stati Uniti. Dopo essere stato vicino a Erdogan ne ha preso le distanze e ha cominciato a fomentare l'opposizione. In manette, oltre al direttore di Zaman, Ekrem Dumanli, sono finiti alcuni alti funzionari di mezzi di informazione, direttori e produttori di serie tv. Ma anche alcuni poliziotti, accusati di essere troppo "amici" di Gulen. Quest'ultimo è finito nel mirino del Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) di Erdogan. Gli viene addebitato questo: aver creato uno "Stato parallelo".

Chi è davvero Gulen?

E' stato il primo leader musulmano a condannare apertamente gli attentati terroristici dell'11 Settembre. In un articolo sul Washington Post scrisse: "Un musulmano non può essere un terrorista, né un terrorista può essere un vero musulmano". E facendo riferimento alle malefatte di al Qaeda e islam sottolineò l'importanza di "cercare l'Islam attraverso le proprie fonti e i propri rappresentanti nel corso della storia, non attraverso le azioni di un'infima minoranza che lo rappresenta in modo distorto". Uno che si esprime in questo modo non può non essere gradito agli Usa e più in generale all'Occidente. Gulen, leader del movimento dei "Seguaci di Fethullah", conosciuto come Hizmet (Il servizio) - per alcuni si tratta di una setta - auspica la rinascita di un moderno mondo musulmano, con la Turchia nel ruolo di avanguardia. Le numerose scuole che sono state aperte nel mondo, ispirate al suo pensiero, portano avanti una visione moderata dell'islam. Qualcuno dirà che è un "servo dell'America". Ma è possibile affermarlo solo sulla base del fatto che vive negli Usa e vuol mandare a casa Erdogan?

Politicamente come la pensa Gulen? Alcuni lo accusano di essere troppo critico verso il laicismo, e sono profondamente convinti che voglia cancellare la secolarizzazione conseguita grazie ad Ataturk. D'altro canto, però, più di una volta Gulen ha affermato che islam e democrazia sono compatibili e che lui è favorevole all'ampliamento della democrazia in Turchia. E ritiene pienamente compatibile la libertà religiosa con l'islam. Insomma, tutto si può dire meno che sia un fondamentalista. La sua voglia di incidere in modo forte sulla politica di Ankara manda su tutte le furie Erdogan. Soprattutto perché va contro di lui.

Nel marzo scorso il Consiglio superiore della Radio e della Tv (Rtuk) annullò la licenza di trasmissione di Kanalturk, emittente televisiva legata a Gulen. Per Erdogan è lui il "mandante" delle inchieste in materia di corruzione che nel dicembre 2013 hanno quasi travolto il suo governo, oltre che della pubblicazione di intercettazioni compromettenti per lo stesso premier e per alcuni suoi ministri.

Insomma, la durissima battaglia politica in Turchia non si combatte solo con le elezioni ma anche a colpi di inchieste, scoop e attacchi, più o meno mirati, ai potenti di turno. Una battaglia senza esclusione di colpi. Con Erdogan che fa tintinnare le manette.

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