Sull'isola di Man c'è più di quanto si possa pensare. Il pezzo di terra da 572 km quadrati schiacchiato tra la Gran Bretagna e l'Irlanda non è soltanto il luogo dove sono nati tre dei Bee Gees, ma anche una dipendenza della Corona britannica che oggi è conosciuta soprattutto per un regime fiscale piuttosto indulgente, lo stesso che ha permesso al campione di Formula 1 Lewis Hamilton di risparmiarsi un salasso sul suo jet privato, grazie a un "sistema" furbo messo in luce dal recente leak dei Paradise Papers.
Un paradiso offshore, per farla breve, che ieri si è guadagnato un posto nelle cronache dei quotidiani turchi per via delle accuse scagliate dal leader del principale partito d'opposizione, che già nei giorni scorsi aveva annunciato di avere per le mani documenti in grado di provare che "il figlio, il cognato, il suocero, il fratello, e un ex assistente" del presidente Erdogan avevano "depositato milioni in dollari americani in una compagnia con sede in un paradiso fiscale".
"Questa sarà un'assemblea gioiosa", ha assicurato il segretario del Chp, Kemal Kilicdaroglu, aprendo l'incontro con i colleghi del partito, per poi dedicare venti minuti buoni a questioni meno pressanti, o quantomeno meno attese di quella per cui molti giornalisti stavano assistendo alla riunione. È stato quando la sua voce ha scandito: "E ora scoperchiamo il vaso", sollevando al contempo un plico di fogli, che la televisione di Stato ha improvvisamente tagliato la diretta, dando la linea allo studio mentre il leader dell'opposizione continuava a parlare, assicurando: "Abbiamo tutti i documenti, ricevute bancarie comprese".
Non ci è voluto molto perché arrivassero le prime reazioni dal partito di maggioranza, pochi minuti dopo il discorso che ricostruiva i dettagli di una presunta operazione che avrebbe portato all'estero circa 14 milioni di dollari, utilizzando una società - la Bellway Limited - con un irrisorio capitale iniziale di una sola sterlina. "Sono menzogne senza fondamento", ha detto il numero due dei parlamentari dell'Akp Bulent Turan, con parole non molto dissimili da quelle utilizzato dal legale dello stesso Erdogan, che ha invitato il leader del Chp a presentare le sue prove in tribunale.
Mentre Turan chiedeva a Kilicdaroglu di dimettersi, il vicepremier Bekir Bozdag domandava quale "nemico della Turchia" gli avesse fornito quei documenti. E dall'altro lato l'opposizione chiedeva a Erdogan un passo indietro. Dal canto suo il presidente, che aveva promesso di lasciare il posto se fosse stato provato che "un solo centesimo" a suo nome era depositato all'estero, minacciava conseguenze, additando il partito come "il maggior traditore" del Paese.
"Non porgeremo più l'altra guancia", ha chiarito Erdogan. Ma per capire se questi fatti avranno delle conseguenze per l'opposizione è ancora presto. Intanto un'altra questione tiene banco in Turchia.
Negli Stati Uniti l'imprenditore Reza Zarrab, vicino a Erdogan e accusato di avere violato le sanzioni contro l'Iran, si è dichiarato colpevole. Il processo rischia di essere un altro ostacolo nel rapporto sempre più complicato tra Washington e Ankara.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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