La Turchia ha spiccato un mandato d'arresto per Gulen

Il predicatore è accusato di avere scatenato il fallito tentativo di colpo di Stato

La Turchia ha spiccato un mandato d'arresto per Gulen

C'è un mandato d'arresto che pende ora sulla testa di Fethullah Gulen, il predicatore turco che da anni vive in auto-esilio in Pennsylvania e che ad Ankara considerano il responsabile del fallito tentativo di colpo di Stato dello scorso 15 luglio.

Il mandato arriva da un tribunale di Istanbul, che non ha fatto altro che formalizzare un'accusa che il governo guidato dall'Akp e il presidente Erdogan hanno lanciato fin da subito, perché considerano l'ex alleato il leader di uno "Stato parallelo" creato al fine di prendere il controllo del Paese, passando per magistratura, esercito e ogni settore rilevante.

Dal canto suo Gulen nega tutto. Al Corriere della Sera ha parlato di un Erdogan "avvelenato dal potere" e aggiunto che se chi ha cercato di sovvertire l'ordine l'ha fatto nel suo nome ha tradito il suo pensiero e i suoi insegnamenti religiosi. Ciononostante, in Turchia, la stragrande maggioranza delle persone crede nel suo coinvolgimento.

L'organizzazione di Gulen, molto impegnata nel sociale con centinaia di scuole e associazioni che a lui si rifanno, ma pure nel campo dei media (anche se molti sono stati chiusi o sequestrati in Turchia negli ultimi mesi) è ramificata in tutto il mondo. Tanto che la Turchia chiede da giorni agli alleati di agire per conto suo.

Stati come la Somalia e il Sudan hanno già promesso di chiudere scuole e associazioni legate a Hizmet, il gruppo di Gulen. Altri, come in Europa la Germania, si sono rifiutati di aiutare la Turchia ha estradare o colpire altrimenti i membri del gruppo.

Di oggi l'annuncio di Erdogan che presto, con migliaia di persone già fermate o sospese dal proprio impiego, anche gli introiti delle organizzazioni vicine al

predicatore finiranno nel mirino.

Intanto, gli Stati Uniti devono dare una risposta anche sulla possibilità di un'estradizione del predicatore. Le prove a suo carico sono inesistenti, dicono a Washington. Ma Erdogan non ci sente.

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