Chelsea Manning, ex analista dell’intelligence militare Usa condannata nel 2013 per spionaggio e poi graziata da Obama, ha tentato il suicidio in un carcere americano. La donna, nata però Bradley Edward Manning, era balzata agli onori della cronaca nel 2010 perché accusata di collusione con WikiLeaks nella divulgazione di documenti riservati americani sulle guerre in Afghanistan e in Iraq. Tale incriminazione le era costato l’arresto e, nel 2013 appunto, una condanna a trentacinque anni di carcere, poi annullata quattro ani dopo dal presidente democratico.
Nel maggio del 2019, però, la Manning è stata nuovamente incarcerata per essersi rifiutata di testimoniare davanti a un grand jury di Alexandria, in Virginia, nell’ambito di un procedimento penale sempre a carico del sito web investigativo fondato da Julian Assange. È stato proprio nel corso della sua nuova detenzione, all’interno del penitenziario Alexandria Adult Detention Center, che l’ex analista, nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi, ha provato a togliersi la vita.
Il tentato suicidio dell’ex militare, riferisce Deutsche Welle citando lo sceriffo locale Dana Lawhorne, è avvenuto poco dopo la mezzanotte e la detenuta sarebbe stata immediatamente soccorsa dal personale medico dell’istituto di pena.
Una volta stabilizzate le condizioni di salute della Manning, ricostruisce l’emittente, la stessa è stata ricoverata d’urgenza in ospedale, dove sta progressivamente recuperando le forze.
Lo sceriffo Lawhorne, evidenzia il network tedesco, ha mostrato ottimismo riguardo alla capacità della donna di ristabilirsi, rimarcando contestualmente la professionalità dei medici e dei paramedici in servizio presso la struttura detentiva di Alexandria.
Una volta dimessa dall’ospedale, la detenuta eccellente dovrà tuttavia comparire oggi stesso nuovamente davanti alla Corte di Alexandria che sta indagando su WikiLeaks, poiché i giudici locali devono notificarle le sanzioni per il suo precedente rifiuto di testimoniare davanti al grand jury.
L’ex analista, spiega Deutsche
Welle attenendosi alle dichiarazioni degli avvocati della prima, aveva opposto tale rifiuto di collaborare con i magistrati della Virginia poiché considerava il processo in corso inquinato da evidenti “abusi”.
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