Le vedi distese a pancia in giù, abbracciate alla terra, sopra il prato verde, davanti alle lapidi bianche, tutte uguali, del cimitero militare di Arlington, la mano appoggiata sul nome di chi hanno amato e adesso non c'è più. Oppure con i loro bambini silenziosi e compìti con la bandierina stars&stripes nel pugnetto, che portano un fiore al papà che non conosceranno mai, i maschietti a volte con la divisa da coscritto e le medaglie puntate sul petto, come in tutti i Memorial Day, il Giorno dei Soldati Caduti che quest'anno si celebra l'ultimo lunedì di maggio. Ce ne sono 450mila di bare, in questa enorme Arca della gloria, affacciata sul Potomac, consacrata agli eroi di guerra e alle loro famiglie, e ogni anno ne arrivano settemila nuove, l'avamposto più glorioso dei centrotrentacinque cimiteri di guerra degli States.
Ma nessuno di quel mezzo milioni di uomini e di donne che riposano tra le braccia degli dei della guerra è amato e venerato come un ragazzo di campagna texano, alto quasi niente e con l'equivalente della nostra quinta elementare, sesto dei dodici figli di un mezzadro traditore che abbandonò la famiglia nella povertà, diventato orfano bambino e volontario di guerra solo perché la sorella Corrinne, con due erre e due enne, non si sa come, gli cambiò la data di nascita sui documenti dell'anagrafe per farlo diventare maggiorenne.
Audie Murphy, il soldato più decorato della Seconda guerra mondiale, il Rambo formato bonsai dello Sbarco in Sicilia e della Campagna di Francia, è un'icona senza rivali, un santino di guerra che come meta di pellegrinaggio supera quella di John e Bobby Kennedy, di Lee Marvin, e di Glenn Miller, l'uomo di Moonlight Serenade e Chattanooga Choo Choo, che pure a casa, disperso nei cieli sopra la Manica, non tornò mai.
Murphy è l'altra faccia della medaglia, lui che ne ha conquistate trentadue, tra cui la Legion d'onore francese e la Medaglia del Congresso, che di solito viene assegnata a chi muore da eroe, è l'altro sogno americano, quello che passa dalle trincee di combattimento e per i campi minati. Una storia di riscatto pagata con il sangue che non ha mai smesso di far innamorare gli americani. Si era arruolato poco più che bambino per scappare dalla povertà e poco mancò, quando svenne come una signorina al primo giorno di addestramento, che lo mandassero fisso ai servizi di cucina.
Non lo hanno voluto i Marines, non lo hanno voluto i parà, non lo ha voluto la Marina. Solo l'esercito, che prende tutti senza guardare in faccia nessuno, lo arruola nella 36ma Divisione di fanteria, primo battaglione, e lo spedisce a Casablanca. Ha la faccia da bambino, ma è un cecchino infallibile: ha imparato a sparare nelle praterie texane e non sbaglia un colpo. Se ne rendono conto quando sbarcano in Sicilia: durante una ricognizione uccide due ufficiali italiani che tentano di fuggire a cavallo dalle parti di Canicattì. Con il fucile in mano sembra American sniper, e alle pentole non lo consegnano più. A Palermo sconfigge la malaria, a Cassino sfugge a un'imboscata catturando i tedeschi che lo volevano fare prigioniero. Brucia le tappe: caporale, sergente, sergente maggiore, sottotenente, tenente. Conquistata Roma, lo spediscono nel sud della Francia nell'operazione Dragoon. E lì dà il meglio di sé. Vicino a Le Tholy, quando un soldato tedesco, fingendo di arrendersi, uccide la sua amica Lattie Tipton, scatena l'inferno con bazooka e mitragliatore: fronteggia da solo in una radura un intero reparto tedesco di 250 uomini, annientando sei cingolati anche se ferito dalle schegge di un mortaio. La contabilità di guerra gli attribuisce l'uccisione di più di duecentoquaranta soldati della Wehrmacht. Spiega che buttarsi allo sbaraglio, per lui, più che uno slancio di generosità è una reazione quasi isterica alla paura.
In tre anni di guerra porta a casa le medaglie d'onore di tutti i Paesi dove combatte, quando torna in patria, nel giugno del 1945, lo accolgono come Marte redivivo e Life gli regala la copertina. Per un attimo accarezza l'idea di entrare a West Point, l'accademia militare, ma dopo tre mesi cambia idea.
Life però finisce nelle mani di James Cagney, uno dei giganti di Hollywood, il cattivo perfetto dei gangster movie, che in quel ragazzino segnato dalla guerra ci vede un attore come lui anche se il ritorno non è facile. Oggi lo chiamano disturbo post-traumatico da stress, una volta detta «febbre da trincea»: soffre di mal di testa, incubi, vomito. Per settimane si chiude in una camera d'albergo per uscire dal tunnel, poi vince anche l'imboscata della depressione. In venticinque anni di carriera recita in quarantaquattro film, soprattutto pellicole di guerra e western. I suoi compagni sono James Stewart, Tony Curtis, Anne Bancroft. La sua biografia, All'inferno e ritorno, diventa un film con lui stesso protagonista, per vent'anni, fino a Lo Squalo di Spielberg, è campione di incassi negli Stati Uniti, quanto basta per regalargli, oltre alle medaglie di guerra, anche una stella sulla Hollywood Walk of Fame. Ma l'aria cambia anche per gli eroi: i suoi investimenti nel petrolio algerino sono un disastro, una volta lo arrestano per il tentato omicidio di un addestratore di cani, divorzia dall'attrice Wanda Hendrix per sposare un ex hostess, Pamela, che gli dà due figli, Terry e Skipper.
Alla fine di maggio del 1971 vola con un aereo da turismo in Virginia per verificare di persona le case coloniche e i motels dove ha investito i suoi ultimi dollari. Il pilota Herman Butler comunica alla torre di controllo che a causa del cattivo tempo l'aereo, partito dall'aeroporto Peachtree Dekalb di Atlanta, sarebbe atterrato un po' in ritardo. Racconterà un testimone: «Ho visto l'aereo andare su e giù come uno yo-yo e poi sparire».
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