«Incantata» o «magica» che la si voglia (scegliendo luna o laltra traduzione per laggettivo zauber di cui si fregia), La montagna di Thomas Mann è soprattutto malinconica. Non tanto per il contesto «malato» del sanatorio Berghof, né del buio incipiente che ingoia le troppo brevi giornate dei pazienti lì ricoverati, e neppure per laria eccessivamente sottile, nervosa che vi si respira. Piuttosto, lumor nero di cui sammanta risiede nel suo patrimonio genetico. Essendo essa figlia del romanticismo germanico al tramonto; e prima ancora del rinascimento alchemico; e prima ancora dei caratteri indagati dallo Pseudo Aristotele nei Problemi; e prima ancora dei geroglifici egizi... È occulta, simbolica, surrealista, questa Montagna alla quale Mann, fedele Maometto spinto dalla fede nellumanesimo, va, raccontando liniziazione estatica di Hans Castorp, intrappolato nello Zeitroman, il «romanzo del tempo» in cui tuttavia il tempo (e lo spazio) diventa specchietto per allodole, non riflettendo che immagini oniriche.
Anche Melancolia occidentale. «La montagna magica» di Thomas Mann, di Luca Crescenzi (Carocci, pagg. 282, euro 25), è leggibile come uno Zeitroman. Ma qui il tempo esiste eccome, e lepicentro della narrazione-ricerca si trova, ben localizzato, nellincisione di Albrecht Dürer dal titolo, appunto, Melencolia I. La vediamo in copertina e ne ripercorriamo i significati reconditi cui Mann attinge, indirettamente ma non per questo meno profondamente, appena riverberati o filologicamente scandagliati, da alcuni testi di varia natura: dalla Vita di un buonannulla di Joseph von Eichendorff, il cui protagonista è fra i modelli di Castorp, ai lavori di Heinrich Wölfflin e, soprattutto, di Carl Giehlow proprio su Dürer, dagli studi di Ricarda Huch sulla contiguità fra romanticismo e cultura della décadence ai capisaldi manniani Schopenhauer e Nietzsche. Immersa nel suo presente del prima, durante e dopo la guerra, e nel maestoso corso del fiume che collega I Buddenbrok alle Considerazioni di un impolitico e persino, ci permettiamo di aggiungere, al Doctor Faustus, visto lepisodio musicale dellascolto dellAlbero di tiglio schubertiano, alla fine del capitolo «Dovizia di armonie», tutta La montagna dispiega lincanto della propria magia. E, reciprocamente, ogni centimetro quadrato di Melencolia I traspare dalle pagine di Mann: si veda il parallelo fra il manto del cane accucciato nellincisione e quello di Bauschan un Padrone e cane.
Germinata, fra il 12 e il 13, come novella in funzione di «pendant umoristico» (così la definì lautore in una lettera a Ernst Bertram) alla Morte a Venezia, lopera assunse forme, connotati e dimensioni colossali fino a diventare, nel 24, ciò che conosciamo: un monumento vivente alla cultura del XIX secolo. A tal punto vivente da inglobare, fra laltro, buona parte del Novecento melancolico: quello di Ibsen e Strindberg, di Carl du Prel, di Freud. Così, nel denso e appassionante excursus di Crescenzi, Dürer dialoga con la psicanalisi, la morte e il diavolo sono Naphta e Settembrini, i duellanti pedagoghi del cavaliere Castorp; Clawdia Chauchat è il richiamo sessuale; Mynheer Peeperkorn è un Dioniso-Buddha-Cristo...
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