Montezemolo, l'esitante che da sempre teme il passato e i sondaggi

Da anni il presidente Ferrari si tira indietro all’ultimo momento dall’entrare in politica. Dietro questo teatrino la paura degli italiani o di ripetere gli errori già fatti da manager. Filisofi e politici ex Pd: ecco il suo team

Montezemolo, l'esitante 
che da sempre teme 
il passato e i sondaggi

Esitante. Luca Cordero di Montezemolo è un po’ come uno schermidore sistematicamente esitante. E l’esitazione, come ben sa chi ha tirato di scherma, è l’ultima delle debolezze che puoi avere in pedana. Fa due, tre passi avanti. Una finta, uno controfinta poi, proprio quando sembra caricato per partire con l’affondo, ecco che si blocca. Ci ripensa, indietreggia. Per ricominciare qualche giorno, qualche mese dopo, con la stessa manfrina. Inanellando lo stesso loop. Che lascia tutti un po’ perplessi. Lui per primo, forse. Lui che vuole entrare in politica, ma anche lui, lui medesimo, che forse non è convinto fino in fondo e, soprattutto, non è mai (o ancora) convinto che sia il momento giusto per farlo.

Lui che, secondo alcuni sondaggi, quelli che compaiono con enfasi nel sito della sua «Italia Futura», il 36 per cento degli intervistati potrebbe pensare di votare, se si decidesse a candidarsi. Ma sempre lui che, digitando il suo nome su Internet, non può non soffermarsi perplesso sulla pagina di Facebook che raccoglie (e sono davvero tanti) quelli che, in coro, recitano «Vogliamo Montezemolo lontano dalla politica».
Luci e ombre di un personaggio controverso. A volte esaltato, soprattutto per i trionfi della rossa Ferrari, (quando ci andò per la prima volta nel 1973 come responsabile della squadra corse riuscì a vincere il campionato mondiale costruttori dal 1975 al 1977, e due mondiali piloti con Lauda.

E quando ci tornò nel 1991, da presidente dopo 21 anni, nel 2000 rivinse con Schumacher). A volte aspramente criticato non solo per i flop della Ferrari (è rimasta celebre la richiesta delle sue dimissioni avanzata da Calderoli dopo il tonfo al Gran premio di Abu Dhabi) ma anche per certi suoi incidenti di percorso. Rinfrescati ad ogni intervista, per esempio, da un tipo franco come Cesare Romiti. Nei primi anni Ottanta, Montezemolo era addetto alle pr Fiat, quando Romiti denunciò che «vendeva» (mazzette da cinquanta-ottanta milioni) agli industriali gli incontri con Agnelli. «Lo licenziai in tronco - ha raccontato più di una volta Romiti- che lo ha conosciuto bene e che, per puntualizzare questa conoscenza, ogni volta ripete: se si candidasse non lo voterei».
In compenso, dopo quel licenziamento, anziché rimanere in strada, Montezemolo divenne amministratore delegato della Cinzano. «Ho il dovere di fare qualcosa», poi: «Serve una lista civica», poi: «Ognuno deve fare la sua parte per costruire l’Italia di domani», «Cresce la tentazione», ha detto ancora il primo Aprile a Napoli. E a Cortina parlando di sé in terza persona, giusto l’altro giorno, ha aggiunto: «È possibile un’offerta politica nuova da qui a un anno e mezzo, è possibile che alcune persone che hanno avuto molto decidano di impegnarsi in politica». In buona sostanza il presidente della Ferrari preannuncia l’ingresso in politica almeno da Ottobre 2009 quando, con Gianfranco Fini ed Enrico Letta, ha presentato «Italia Futura». Ma è titubante.

E se aspetta ancora un po’ rischia di finire come la Ferrari non proprio brillante di oggi, di cui per ora resta presidente. Anche se Andrea Agnelli e Lapo Elkann sono in pole position. Luci e ombre che si riflettono allo specchio e, che, alla comparsa delle prime, anzi delle seconde rughe portate dai suoi prossimi 64 anni (li compirà il 31 agosto), non consentono nemmeno a lui di definirsi propriamente un volto nuovo dello scenario italiano. Si interroga, quindi, l’esitante Luca Cordero di Montezemolo. E forse, oltre allo sgradevole episodio Fiat, gli tornano alla mente anche altre avventure non proprio felici, che hanno lasciato dietro di lui strascichi di polemiche e fiumi di denaro pubblico sperperati. Come presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali di calcio di «Italia 90» non può, proprio lui, non ricordarsi di come sia andata miseramente a finire: gli sprechi di stazioni, terminal, alberghi mai completati, e, in molti casi, nemmeno costruiti, anche se finanziati col denaro del contribuente. Uno stadio come quello di Torino che grida vendetta. E, al termine dei mondiali, quando è diventato vicepresidente della Juventus, ha incassato un’altra esperienza fallimentare: nonostante l’ingente spesa per la campagna acquisti (primo fra tutti il bomber Roberto Baggio) la Juve è arrivata settima in classifica, tagliata fuori da tutte le competizioni.

Per la società bianconera un fatto che non accadeva da 27 anni.

In più, emersa in tempi recentissimi c’è anche un’altra storiellina che lo riguarda: è imputato a Capri per violazioni urbanistiche, falso e deturpamento di bellezze naturali per i presunti abusi edilizi nei lavori di ristrutturazione della sua Villa Caprile ad Anacapri. In aprile è cominciato il processo e la sentenza è attesa entro l’anno. Giusto il tempo che lui decida, una buona volta, che cosa fare da grande.

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