Monti: "Sono meglio le tasse rozze che diventare la Grecia"

"Credo che questa crisi sia quasi finita, resta solo una componente psicologica"

Le tasse non piacciono a nessuno. A chi le paga, naturalmente. Ma nemmeno a chi le impone. Come Mario Monti, che rischia di passare alla storia come il premier del salasso. Un ruolo che lui non si è scelto, ma che gli è stato assegnato diciamo così dalla storia. A lui non resta che «far presente agli italiani che meno visibile ai loro occhi ma molto più grave per il destino delle loro famiglie sarebbe stato finire come la Grecia», come ha fatto sapere ieri dalla Cina, tirato come sempre per i capelli bianchi nelle questioni italiane. Detto questo, Monti ammette che si tratta di «interventi a volte un po’ rozzi», in molti casi derivanti da «decisioni prese nel passato da precedenti governi» e in altri «introdotti da questo governo»; e su quelli Monti alza le mani: «Sono pronto ad assumermi le mie responsabilità». E pero: «Invito anche a tenere presente che è stato fatto uno sforzo di equilibrio del carico fiscale per far contribuire maggiormente quelli che avevano contribuito meno in passato».

La crisi per Monti è quasi finita. «Forse c’è solo una piccola componente psicologica». Resta però il dibattito sul fisco. E sull’evasione fiscale, che ha tenuto banco ieri a Pechino, perché gli investitori cinesi la vedrebbero come possibile freno agli investimenti. «In fondo - spiega Monti - un investitore straniero non dovrebbe preoccuparsene più di tanto. Ma un Paese dove c’è grande evasione fiscale non può essere equilibrato». Quindi, lotta dura senza paura. E senza trattative, perché la guerra all’evasione, a differenza di riforme come quella sul lavoro, non deve essere «condivisa» per ottenere il «consenso» delle parti interessate che «ovviamente non ci sarà mai» (battuta). Monti ha negato però che siano allo studio nuovi strumenti, perché i «riscontri» dell’Agenzia delle entrate e della Finanza fanno pensare che «non c’è mai stata in passato una strumentazione così forte». Insomma, «per la lotta all’evasione non credo occorra fare di più. Mi aspetto buoni risultati finanziari sul fronte del gettito anche se sarebbe del tutto imprudente fare previsioni che creerebbero aspettative».

Sul fronte interno ieri Monti è tornato anche sulla lettera al Corriere della Sera nella quale ha spiegato i suoi rapporti con i partiti che lo sostengono, chiarendo alcune affermazioni riprese giorni prima dalla stampa. Della missiva Monti è parso estremamente soddisfatto: «Sono molto lieto che abbia calmato le acque». Meno soddisfacenti alcune ricostruzioni dei giornali, compresa quella sulle presunte pressioni subite da Napolitano per scrivere la lettera. «Tutti ritengono che senza una discreta pressione dal Quirinale non ci sarebbe stata la mia marcia indietro. Non avevo parlato quel giorno con il presidente della Repubblica e nemmeno sfiorato questo tema». Le bacchettate ai giornalisti non finiscono qui: «Apprendo di avere per la prossima settimana due appuntamenti: uno al Quirinale con il presidente Napolitano e poi uno a Palazzo Chigi con i segretari della maggioranza ai quali chiederei di assumersi una responsabilità storica, dare cioè il via libera a un’intesa politica su un testo che penso sia quello della riforma del mercato del lavoro». Peccato che l’agenda di Monti non sia questa: «Ricevo preziosi consigli dal presidente Napolitano e non credo di essere il solo, ma non ho nessun appuntamento specifico». E quanto agli ABC «non ho neppure parlato con Alfano, Bersani e Casini) in questi giorni. Può darsi anche che proponga loro un incontro». Ma non c’è nulla di fissato.

Cattivo giornalismo che fa male al Paese, secondo il premier: «Mi chiedo se tanti disagi nella comprensione dell’Italia da parte di altri Paesi non nascano dall’impossibilità stessa di conoscerne sia pure vagamente la realtà». Terribile dubbio.

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