La morte di Elisa e le bugie del presunto innocente

All’ingresso della Santissima Trinità (che a Potenza tutti chiamano la cattedrale) c’è uno striscione: «Verità e giustizia»; per essere perfetto, manca una parola: «silenzio». Invece da ieri - dopo il ritrovamento del cadavere di Elisa Claps nel sottotetto della chiesa - di sciocchezze se ne stanno dicendo e scrivendo tante. Troppe. C’è chi tira in ballo la massoneria, chi non meglio precisate protezioni politico-giudiziarie, chi la criminalità organizzata e via fantasticando. Sui giornali non mancano velenose congetture perfino su personaggi ormai morti e che quindi non hanno più la possibilità di difendersi. Un modus operandi che rischia di confondere anche quei pochi punti fermi di un’inchiesta i cui fili, a distanza di 17 anni dai fatti, sarà difficile riannodare nel verso giusto.
E quali sono questi «punti fermi»? Il nome che torna in ballo non può che essere quello di Danilo Restivo, il giovane incontrato da Elisa poco prima che della studentessa si perdessero completamente le tracce. A distanza di anni lo stesso Restivo si è ritrovato coinvolto in un altro omicidio, questa volta in Inghilterra a Bournemouth (dove intanto si era trasferito nel 2002). Prima a Potenza, poi a Bournemouth: Restivo, sempre lì, in mezzo a donne vittime di fatti di sangue. Delle due, l’una: o Restivo è perseguitato da un destino malvagio, oppure è bravissimo a farla franca. Di sicuro, nella sua vita di imputato, ha raccontato molte bugie.
Sulle quali oggi - alla luce del ritrovamento del cadavere di Elisa - sarà bene riflettere. Titolare del fascicolo è la Direzione distrettuale antimafia di Salerno: una competenza derivata dal fatto che nel corso delle indagini un collaboratore di giustizia tirò in ballo il congiunto di un magistrato in servizio a Potenza. Per tale ragione le carte sono state trasferite nella città campana, competente sui casi in cui sono coinvolti magistrati del distretto giudiziario potentino; e anche se il fascicolo sul magistrato lucano è stato archiviato, l’indagine rimane a Salerno.
Dopo la scomparsa di Elisa, in mancanza del corpo, non si è mai potuto procedere per omicidio anche perché si erano verificati dei depistaggi con la segnalazione che la ragazza fosse stata vista viva, addirittura in Albania. Restivo venne invece condannato dalla Corte di appello di Potenza a due anni e 8 mesi (in primo grado gli erano stati inflitti nove mesi) per falsa testimonianza perché non fu in grado di spiegare un «buco» di circa un’ora di tempo di quella mattina. Restivo, 38 anni, oggi vive in Inghilterra dove ha avuto guai giudiziari per l’omicidio di una sarta, Heather Barnett, avvenuto a Bournemouth, nel Dorset, 200 km a sud-ovest di Londra.
Fu trovata morta il 12 novembre 2002 dai figli che rientravano a casa da scuola. Era nel bagno, con la testa fracassata, il seno mutilato e due ciocche di capelli non suoi nelle mani. Suggestivo questo particolare della ciocca di capelli, considerato che in più di un’occasione (sia in Italia, sia in Gran Bretagna) Restivo pare sia stato sorpreso a tagliare ciocche di capelli a ragazze incrociate casualmente sui mezzi pubblici. Per questo omicidio Restivo, vicino di casa della Barnett, è stato fermato e interrogato. Le indagini della polizia del Dorset sono sempre aperte e non hanno ancora portato a un’incriminazione. La polizia inglese ha fatto dei sopralluoghi anche in Basilicata, l’ultimo nello scorso mese di luglio, a conferma del legame che viene attribuito al caso di Elisa Claps. Nonostante tutta questa attività, anche l’inchiesta inglese si è rivelata un flop.
Ma torniamo alle «bugie» di Restivo che, da anni, è indagato dalla magistratura per omicidio volontario. La sua condotta è stata giudicata dai giudici potentini «particolarmente grave» per «il grave danno derivato all’attività giudiziaria e, di riflesso, alla Claps e ai suoi familiari» e l’elevazione della pena è stata motivata per la «tenace condotta menzognera dell’imputato, anche dopo la commissione del reato, che - hanno scritto i giudici - continua a lasciarlo indifferente ai traumi dei familiari della vittima e all’angoscia stressante di una madre che desidera avere quantomeno certezza della morte della propria figlia».
Secondo i giudici della Corte di appello del capoluogo lucano, quel 12 settembre 1993 (domenica, giorno della scomparsa della ragazza) Danilo Restivo ed Elisa Claps «certamente si incontrarono tra le 11.45 e le 12 all’interno della chiesa della S. Trinità» di Potenza, come il giovane ha dichiarato. È, invece, caratterizzato da «mendacio» - sempre secondo i giudici - quanto Restivo ha raccontato essergli accaduto successivamente, e cioè di essersi ferito a una mano cadendo in un cantiere di scale mobili in costruzione: mendacio - scrissero i giudici - «sintomo di inequivoco collegamento dell’imputato agli eventi, allo stato non conosciuti, che interessarono» Elisa Claps.
«Decisiva e insormontabile riprova della falsità» delle dichiarazioni rese da Restivo - si legge nella sentenza - è che «l’imputato, avendo con particolare solerzia curato che restasse traccia dell’orario in cui si era presentato al pronto soccorso (benché il fidanzato della sorella gli avesse fatto presente che la modesta entità della ferita non necessitasse delle cure del medico del pronto soccorso), si trova poi nella necessità di spiegare la causa della lesione. Di qui l’esigenza di porsi in un luogo isolato (scale mobili di un cantiere chiuso la domenica), sì da non essere smentito da possibili testimoni e da ideare una caduta che servisse a spiegare come e perché una lamina acuminata si fosse infissa nella sua mano». Ma tale ultimo assunto, secondo i giudici, è «di sicura invenzione». Sono queste - secondo i giudici - le ragioni che hanno evidenziato «il palese mendacio» da parte di Restivo e che hanno impedito «di conoscere gli effettivi spostamenti della Claps e del Restivo dopo l’incontro dei due in Chiesa e di indirizzare le indagini nella direzione più opportuna».
Intanto Danilo Restivo ha ribadito all’Ansa di «non sapere assolutamente nulla delle circostanze della morte della ragazza». Restivo ha inoltre confermato che quel 12 settembre 1993 si ferì a una mano «cadendo in un cantiere di una scala mobile allora in costruzione» e ha aggiunto di «non temere di essere arrestato». «Al contrario - ha spiegato Restivo -, spero che l’attività investigativa svolta dopo il ritrovamento del cadavere possa portare alla dichiarazione della mia definitiva estraneità rispetto alla morte di Elisa Claps».


La famiglia Claps - a cui la città non ha mancato di manifestare affetto e solidarietà - ieri ha riconosciuto gli effetti personali trovati accanto al cadavere di Elisa. Gildo, il fratello della studentessa morta, lancia un appello: «Restivo deve essere trasferito al più presto in Italia». Il mandato di cattura internazionale è già partito.

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