Lappello alladunata risuona alto e forte. «È morto Nicola, andiamo a Verona», tuonava ieri Liberazione, «giornale comunista». «E ora tutti gli antifascisti si vedano a Verona», esortava il Manifesto, «quotidiano comunista». Cè gran voglia di piazza in quella sinistra che le ultime elezioni hanno escluso dal Parlamento, e che ora tenta di riacquistare se non credito almeno visibilità sfilando e vociando. Ogni occasione è buona per annunciare con foga comiziesca che la democrazia italiana vacilla, che la marea nera sale, che gli eredi di Mussolini e di Hitler si stanno riappropriando dellItalia. E quale occasione poteva essere migliore della tragedia di Verona, costata la vita a Nicola Tommasoli?
Si pretende che quel fattaccio ripugnante abbia non limpronta duna violenza diffusa e ignobile, ma limpronta del fascismo. Gli assassini della città di Giulietta diventano così il prodotto duna cultura specificamente attinta dal ventennio. Un filo ininterrotto legherebbe Achille Starace al sindaco leghista Flavio Tosi. Infatti «Fini copre i camerati veronesi». Come vedete il lessico del regime ducesco viene tutto richiamato in servizio. (Ho comunque personali perplessità sullaffermazione di Fini secondo cui le manifestazioni anti-israeliane a Torino sono state più gravi dellaggressione mortale a Tommasoli).
Levidenza dei fatti costringe anche la pubblicistica «comunista» a qualche ammissione. «Dicono da destra - cito leditoriale del Manifesto - che laggressione omicida non aveva contenuto politico: in un certo senso è vero, ma ciò la rende ancora più inquietante. Perché gratuita espressione di un puro odio cresciuto così tanto da farsi indiscriminato».
E Liberazione: «Può anche darsi che i ragazzi dal cuore nero responsabili dellomicidio di Verona siano solo degli sprovveduti con scarsissime nozioni di politica, ma è certo che lesempio dato dalla classe dirigente, o più in generale il clima politico di questa stagione non li ha dissuasi».
Si riconosce, in fin dei conti, che i bravacci di queste spedizioni punitive sono cani sciolti, sbandati senza idee e senza cervello che sfogano istinti belluini: e che - quandanche riesumino simboli di dittature defunte - lo fanno senza minimamente conoscere, di quelle dittature, i contenuti ideologici.
Ben più numerosi, ma non molto più consapevoli, erano i ragazzotti che inneggiarono a Stalin, o a Mao, o perfino a Pol Pot. Gli extraparlamentari in lutto esortano il popolo - che li ha ignorati e continua a ignorarli - a stringersi a coorte.
Mario Cerv
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