Morto Harrer, alpinista del Reich che fuggì in Tibet

Heinrich Harrer, lo scrittore di Sette anni in Tibet (divenuto celebre soprattutto per il film interpretato da Brad Pitt) e l’apinista che nel luglio del 1938 portò a termine per la prima volta l’ascensione di 2mila metri della parete nord dell’Eiger, è morto ieri in Carinzia (Austria), dove era nato 93 anni fa. Quei sette anni in Tibet furono, dei 93, forse i più intensi, perché raccontano di quando, nel ’39, una spedizione alpinistica in Himalaya di cui faceva parte lo stesso Harrer, fu interrotta dagli inglesi che lo fecero prigioniero. Lui riuscì a fuggire e riparò in Tibet (prima che questo fosse invaso dai cinesi) e vi conobbe il Dalai Lama. Fu proprio il film del 1997 a riaprire un’annosa e affascinante querelle che, in qualche modo, è al centro degli studi condotti in Italia soprattutto da Giorgio Galli. Che ci facevano i tedeschi in Himalaya? Cosa cercavano? Galli se lo è chiesto a più riprese e i suoi studi contribuiscono a chiarire la questione. Ma c’è un tassello che meriterebbe un approfondimento, ed è appunto quello che riguarda i rapporti tra esoterismo nazista e alpinismo sul quale lo storico dell’alpinismo Pietro Crivellaro sta lavorando da qualche anno. Harrer, malgré lui, proprio nel momento in cui la fama sembrò arridergli maggiormente con l’uscita del film, si ritrovò come di fronte a un boomerang: il film innescò polemiche, le critiche di Messner che gli rimproverò di voler fare il maestro di vita senza prendere le distanze da un passato così ingombrante, e inchieste fra le quali, in particolare, una del giornalista austriaco Gerald Lehner che, sullo Stern nel giugno 1997 rivelò sulla base di fonti d’archivio inedite che Harrer avrebbe fatto parte delle SA (l’organizzazione paramilitare nazista) già dal ’33, che nel ’38 avrebbe richiesto l’iscrizione al Partito Nazista e che, sempre nel ’38, sarebbe diventato SS con il numero di matricola 73896.
Harrer replicò che l’adesione alle SA non fu proprio tale, nel senso che egli avrebbe sì firmato un documento di pregressa adesione (nel ’38 come se fosse stato iscritto dal ’33) ma solo per ottenere il permesso di sposare la tedesca Lotte Wegener e che l’iscrizione al partito del Führer sarebbe stata dettata da motivi di opportunità per poter continuare a svolgere la professione di insegnante di sport e geografia al liceo, e che quella alle SS fu propiziata dal fatto che egli fosse allenatore della squadra femminile di sci austriaca e, pertanto, gli fu assegnato il grado di sergente maggiore delle SS per prestare la medesima attività nel corpo ma non avrebbe impartito nessuna lezione.
Già perché nel frattempo Harrer era partito per la spedizione al Nanga Parbat, dove però fu fatto prigioniero dagli inglesi. È qui che, della vita di Harrer, emergono le cose più segrete e interessanti: David Roberts, scrittore e alpinista americano, ha ricordato come prima della spedizione al Nanga Parbat ve ne fu una antropologica in Tibet voluta da Himmler, diretta da Ernst Schäfer. Quella al Nanga, non di meno, fu voluta dallo stesso Himmler. Il tutto avvenne nel contesto della ricerca delle radici ariane in Himalaya sotto l’egida dell’associazione Deutsches Ahnenerbe che, appunto, cercava le radici ariane della Germania.

Ecco che, a questo punto, la citazione da parte di Harrer (sempre nel suo bestseller) dell’esploratore svedese Sven Hedin, scopritore delle sorgenti del Brahmaputra, anche lui iniziato ai percorsi spirituali del Tibet, non stupisce più. Harrer però se n’è andato e, con lui, la possibilità di gettare luce su una pagina tanto intricata della Storia.
lorenzo.scandroglio@tin.it

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