Era di certo gentile quando parlava, Sergio Mendes, gentile più o meno come le sue canzoni che volavano sempre lassù, all'incrocio dei sentimenti più puri. Se ne è andato ieri a Los Angeles, aveva 83 anni, aveva avuto un «long Covid» e porta in pegno all'eternità una canzone che vale uno stile di vita, una attitudine, una regola di comportamento: Mas que nada.
La riprese nel 1966 dalla versione scritta tre anni prima da Jorge Ben Jor trasformandola in uno dei classici più classici di sempre, ossia in quelle canzoni che sono polaroid di un'epoca, oggi si dice selfie proprio perché le epoche sono fugaci e volano via al primo refresh.
Invece da quasi sessant'anni Mas que nada «è» il Brasile della «bossa nova» che si è nutrito di jazz e ha portato nel mondo quel flusso di gioia rilassata, di consapevolezza solare che resta accesa anche nel buio. «Oaria raio...Obà obà...» è l'inizio del brano che chiunque riconosce subito. Occhio, «mas que nada» in portoghese significa «ma certo» oppure «figurati», non certo «meglio di niente» come l'omofono spagnolo che tanti confondono.
Sergio Mendes, sempre minuto e sorridente, era nato a Niterói vicino a Rio de Janeiro, era il 1941, intorno c'era solo povertà ma i suoi gli consentirono di iscriversi al Conservatorio e quindi di decollare per il futuro. Suonava nei localini e suonava una personalissima visione della nascente «bossa nova» che era più vicina al jazz che al samba. La condivideva talvolta sul palco con Antônio Carlos Jobim e João Gilberto, ascoltava i grandi jazzisti con cui avrebbe un giorno collaborato ma aveva soprattutto aperto le finestre alla musica americana. La assorbì a modo suo, gentile. I primi due dischi non funzionarono poi arrivò Sergio Mendes and Brasil 66 con Mas que nada che aveva registrato con due cantanti americane e che ebbe un successo immediato ma non gigantesco. Il vero successo di quel brano è la resistenza nel tempo, nella capacità di essere pure ripreso e maltrattato dai Black Eyed Peas senza perdere la capacità di adattarsi allo spirito di tutti. Forse per questo - che poi è stato uno dei suoi talenti di artista - Sergio Mendes inizia a fare l'americano, a entrare anche nelle case americane e pure alla Casa Bianca dove si esibì anche per Lyndon B. Johnson e Richard Nixon. Poi la quiete dopo la tempesta.
Per tanti anni, diciamo fino al 1984 Sergio Mendes spazia e suona e registra senza troppa gloria fino al brano Alibis, che andò abbastanza bene. Ma non aveva tanto bisogno del pezzo in classifica per attirare pubblico.
Sergio Mendes portava in giro un mondo, che era il suo, per un pubblico che voleva farlo proprio. Non aveva la classe o la purezza dei maestri, ma aveva il guizzo pop che gli consentì di passare il tempo e le generazioni. Era insomma un uomo risolto, sereno, accompagnato per oltre mezzo secolo dalla moglie e partner musicale Gracinha Leporace. Nel 2006 aveva di nuovo fatto il giro del mondo con il disco Timeless nel quale aveva collaborato con i super pop Black Eyed Peas e Justin Timberlake ma pure con Erykah Badu e Stevie Wonder. È stato un periodo di scoperte, quello, e anche di curiosità.
Nel 2009 aveva suonato il piano nel brano Punto di Jovanotti, che aveva pure aiutato ad arrangiare.Sono stati gli ultimi scampoli di una carriera che dal vivo ha raccolto applausi fino a novembre qui in Europa e che resterà nella memoria come testimonial di un'epoca che se ne è andata per sempre.
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