E alla fine si scoprì che il mostro non era nemmeno un mostro. D'accordo, non sarà uno stinco di santo Michele Misseri da Avetrana, stralunato prim'attore fin dalle prime battute recitate, sul cadavere di Sarah Scazzi, nello sconcertante teatrino mediatico, che si è consumato in quelle terre. Ha avuto il suo ruolo in quella schifosa vicenda, ma non l'ha uccisa lui Sarah, non l'ha nemmeno violentata, come si era inventato. Anzi, forse l'ha persino pianta per primo, quando si occupò di buttarne il suo cadavere nel famigerato pozzo, aiutato da uno o due complici.
Ed è proprio questa accusa, l'occultamento di cadavere, l'unica che gli viene e gli verrà contestata in sede processuale dalla giustizia. Finisce così la surreale parabola del contadino che si ero auto-accusato di un assassinio talmente brutale e vile, da far rivoltare l'Italia. Un assassinio, scattato dopo una trappola tesa ad una ragazzina indifesa e innocente in una casa più che amica. Una casa di famiglia, di parenti.
«I dubbi che fosse davvero lui l'assassino - dice, tra l'altro, in unintervista alla Gazzetta del Mezzogiorno e al Tg1, il gip del Tribunale di Taranto, Martino Rosati - li ho avuti sin dal momento in cui l'ho interrogato nell'udienza di convalida del fermo. E i dubbi che ho avuto io li hanno avuti, penso, tutti coloro che erano presenti». E, spinte da questi dubbi, le indagini sono così andate avanti, non si sono accontentate del colpevole ideale, dello sconvolto zio Michele, contro cui si era scatenato il linciaggio verbale di un Paese intero. Sono entrate, le indagini, a scavare sempre più in profondità nel labirinto dei rancori e delle gelosie di una famiglia. Un labirinto nel quale forse il contraddittorio «mostro» dalla sette- versioni-sette, tutte puntualmente differenti quanto sconcertanti, era il primo prigioniero. Così la sua parabola surreale si è compiuta fra confessioni, dichiarazioni, ritrattazioni, nuove sorprendenti persino raccapriccianti rivelazioni e poi parziali rettifiche. Quasi che ogni volta, talvolta in modo goffo, altre volte in modo subdolo, volesse fare scudo per proteggere qualcuno che forse gli aveva addirittura ordinato (con certe maniere che somigliano al plagio) di addossarsi la colpa. Resta il fatto che zio Michele è rimasto in carica come mostro nazionale per circa due mesi . Da quando, nella notte fra il 6 e il 7 ottobre, quando fu arrestato, indicò il pozzo che aveva fatto da tomba per 42 giorni a Sarah.
Ma lo strampalato disegno, partorito dalla sconvolta mente di quell'uomo, ha cominciato a sbriciolarsi prima nei suoi occhi smarriti e poi nelle intercettazioni ambientali. Che hanno portato alla luce, dalle tenebre di quel labirinto domiciliare reticenze e ipocrisie . Case e famiglie dell'orrore dove tutti per odio, per convenienza o per paura tentavano di coprire tutti.
Demolire questa sovrastruttura di cattiveria, individuare il coinvolgimento nel delitto della moglie di Michele Misseri, Cosima e della figlia Sabrina, è stato dunque il compito primario degli inquirenti in questa vicenda. Anche se il «mostro», che nel frattempo non era più mostro, cercava, come ha sempre cercato e oggi ancora cerca di fare, di sbarrare loro il passo, di confondere loro le idee. Paradossale anche in questo zio Michele. Già, perché per lui difendersi, significa accusarsi di tutto. Rimangiarsi ognuna di quelle parole pronunciate contro sua figlia Sabrina, soprattutto. «Perché lei-come ripeteva ancora qualche giorno fa- è innocente. Io, solo io ho ucciso Sarah. Quando accusavo Sabrina ero confuso, mi hanno fatto dire cose non vere. La verità l' ho presa dalle braccia e l' ho spostata. Pesava niente la creatura... Io ero nervoso E allora chissà che mi è passato per la testa... Ho preso una corda e gliel' ho stretta attorno al collo
». Corda o cintura? Anche riguardo all'arma del delitto, peraltro mai trovata, Misseri ha detto tutto e il contrario di tutto. Per motivi imperscrutabili zio Michele cerca persino ora, declassato da mostro a connivente, di salvare le «sue donne». Chissà se va orgoglioso di questa impresa disperata e surreale.
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