Quando la Piaggio produceva automobili, storia di un flirt durato poco

Negli anni Cinquanta l’azienda di Pontedera (Pisa) decise di entrare nel mercato delle quattro ruote, ma un accordo con la Fiat cambiò le cose in corsa

Quando la Piaggio produceva automobili, storia di un flirt durato poco

Si riavvia quella criniera impomatata tamburellando con indice e medio sulla scrivania in mogano. Seduto dall’altro lato, la testa lucida, le unghie che sfregano delicatamente il naso prominente, l’ingegnere tirato per la giacca emette la sua sentenza: "Signor Piaggio, per me si può fare". La voce, priva di inflessioni, è quella di Corradino D’Ascanio, l’uomo che si è inventato la Vespa. Enrico non ha dubbi: ad un tizio di quello spessore affiderebbe anche la costruzione di un razzo per il primo allunaggio toscano.

D'Ascanio
Corradino D'Ascanio alle prese con l'ennesimo progetto

La macchina della Piaggio: l’imprimatur sui bozzetti

Dal ventre pulsante della grande fabbrica di Pontedera arrivano clangori indistinti per i profani. Loro due li riconoscono tutti, accarezzandoli mentalmente. L’imprenditore sbircia di nuovo distrattamente i numeri e i bozzetti del progetto, poi si alza di scatto: "E va bene, facciamola!". Inizia così, quando gli anni Cinquanta hanno appena iniziato a srotolarsi, un’avventura inedita per l’azienda imperatrice degli scooter. Il mercato delle automobili è munifico. Le competenze interne non fanno difetto alla Piaggio. Tocca provare a tuffarsi in questo pescoso stagno, osservando le increspature e augurandosi di galleggiare.

Una berlina agile e ammiccante

Quando scocca il 1952 D’Ascanio, operoso e acuto, ha già elaborato i primi prototipi della vettura. La Vespa Acma 400 – questo è il nome che sta incollato sul brevetto – è una city car compatta (nemmeno 3 metri di lunghezza per 1,2 di larghezza) che monta un motore monocilindrico a due tempi, da 13 cv. Il cambio di questa avveniristica berlina è a tre rapporti, più la retromarcia. Tirata al massimo sulle autostrade italiche lambisce i 90 km/h. Optional aggiuntivi? Tettuccio apribile e, per i più freddolosi, riscaldamento interno. Le forme, con quei grossi fanali circolari e i lati teneramente smussati, sono ammiccanti. Gli addetti ai lavori cominciano a scribacchiare freneticamente sui loro taccuini.

La Fiat marca il territorio

Tra questi spunta la Fiat, che certo non ha l’abitudine di starsene a braccia conserte. Gli ingegneri torinesi stanno tratteggiando l’erede della Topolino e non vogliono magagne per il momento del lancio. Specie se la concorrenza dovesse essere interna. E la 500, pronta a conquistare il mercato dal 1957 in poi, appartiene proprio allo stesso segmento della nuova creatura Piaggio: un’utilitaria disinvolta e popolare, destinata a borseggiare cuori in ogni angolo del mondo. Così i cavi che agganciano la linea telefonica tra Piemonte e Toscana diventano presto roventi. I vertici delle rispettive aziende interloquiscono fitto, per giorni. Poi il pesce con le squame più spesse porta a casa il risultato: accordo tra gentiluomini, la Vespa Acma si produrrà soltanto in Francia.

Acma
La Acma in un manifesto illustrato degli anni Cinquanta

Il debutto transalpino e una parabola annunciata

E così eccoli lì, Piaggio e D’Ascanio, sotto un cielo color latte cagliato, nel sobbollente luglio parigino. L’anno è il 1957: mentre in Italia la 500 spopola, oltralpe la Vespa Acma è chiamata a sgomitare. A dire il vero l’incipit è gradevole, perché contemplandola al Salone dell’automobile della capitale, in tantissimi decidono di accaparrarsela. Nei primi sei mesi raccoglie circa 20mila prenotazioni. A Pontedera si sfregano le mani. È un picco destinato a conoscere una discesa rapida. Il focus sugli scooter, la relativa lontananza del mercato e la presenza di competitors più solidi determinano un progressivo intiepidimento generale.

La Piaggio prova a difendersi proponendo versioni molteplici – luxe, tourisme, GT – ma l’epilogo è segnato. La produzione della Acma cesserà già nel 1961, con poco più di 30mila esemplari venduti all’attivo. Un flirt bello e impossibile. Come tutti gli amori del genere, destinato ad ardere in fretta.

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