Wolkswagen Bulli, la felicità avvitata su quattro ruote

Iconico, arrembante, sintesi ammirevole tra emozione e raziocinio: il fortunatissimo furgoncino della casa tedesca è stato molto più di un van senza tempo

Wolkswagen Bulli, la felicità avvitata su quattro ruote

Mister Ben Pon stringe un pennarello tra quelle sue dita affusolate e inizia a sfregare sul foglio. In lontananza rimbalza l’eco spompo del tramestio tipico delle grandi fabbriche automobilistiche di metà Novecento. Il posto è Wolfsburg, operoso avamposto della Bassa Sassonia. La sua è quasi una boutade. Una forma di auto intrattenimento senza pretese. Mente attende di parlare con la direzione abbozza sulla carta intonsa uno scarabocchio seducente. Pare un Maggiolino, ma non lo è. Sembra un van, ma è diverso da tutti i furgoncini che si sono visti fino a lì.

Da uno scarabocchio al boom

Pon, pragmatico olandese, questa volta si lascia scappare un mezzo sorriso. È compiaciuto mentre allunga il disegno ai vertici della casa tedesca. Fuori è l’immediato dopoguerra: 1947. La Germania ha già iniziato ad avvitare la sua riemersione dalle macerie del secondo conflitto mondiale intorno alla produzione industriale. La fabbrica in cui si trova seduto ne è un esempio scintillante. Comunque ai gran capi l’idea piace parecchio. Talmente tanto che la trasformano in realtà due anni dopo, sfoderando il primo prototipo di questo insolito destriero meccanico, destinato ad essere battezzato in molti modi differenti.

Alle origini si chiama “Bulli”, felice contrazione tra Bus e Lieferwagen (mezzo di trasporto per le merci). Poi però, a seconda di dove si trova a sgommare, gli affibbiano altri nomi. Diventa “Combi” in Francia e “Panelvan” in Gran Bretagna. “Campervan” in Sudafrica e “Hippy Van” negli Usa. In Italia, invece, lo chiamiamo “Westfalia”, dal nome del costruttore dell’allestimento per camper.

Cambiano i nomi, non la sostanza. Inizialmente questo Transporter viene concepito per sollazzare selve di operai, che premono al suo interno merci di ogni genere. Poi però Ben Pon ci rimugina, scarabocchia e torna alla base. “Deve servire anche allo svago, oltre che al lavoro. Aggiungiamo un divanetto e quattro finestrini”. I tizi di Wolfsburg lo contemplano con malcelato scetticismo, ma alla fine cedono. L’intuizione è fenomenale.

La piattaforma è la stessa del Maggiolino, dal quale eredita anche il motore, un 4 cilindri boxer raffreddato ad aria da 1,1 litri e 25 CV di potenza. Però poi cambia tutto: seduce con gli spazi, ammicca con tutta quella luce che filtra dai numerosi finestrini, diventa portatore sano di allegria con quelle forme divertenti. Nei primi tre anni la Volkswagen ne vende 20mila esemplari. Una botta di disinfettante tutt’altro che irrilevante sopra le ferite ancora a vista di un paese dilaniato.

Diventare un'icona Hippie

La sua inedita versatilità ne fa l’alleato perfetto per migliaia di persone in tutto il mondo. Quello del Bulli è un successo mainstream irrefrenabile. La domanda si impenna a tal punto che il solo stabilimento di Wolfsburg non riesce più a fronteggiare lo spropositato numero di richieste. Urge aprire nuove fabbriche e, in tutta la Germania, inizia una sorta di corsa all’oro. Si candidano 235 città, ma alla fine la spunta Hannover, anche e soprattutto grazie agli ottimi collegamenti di cui è dotata.

Samba

Si affastellano gli anni, mutano le esigenze. La Germania che esce affannosamente dal dopoguerra diventa gradualmente un ricordo e il T1, la prima versione del Transporter, è pronta ad essere rimpiazzata. Al suo posto - è il 1959 - giunge un veicolo che passa a 40 cavalli, che diventeranno 50 nel 1967. Il T2 caldeggiato da Pon è una versione più potente, ma al contempo più leggera del suo avo: è l’innesco che fa spopolare il Van anche negli Usa, dove conquista in fretta una generazione in tumulto. Sono quegli americani che hanno raccolto l’eredità convulsa della Beat Generation e che intendono infilzare l’ipocrisia borghese a colpi di sesso libero, pace mondiale, corpi che fluttuano al ritmo di stupefacenti misti.

Sono gli stessi che colorano i Bulli, per loro Hippie Van, tappezzandoli di giganteschi fiori e simboli pacifisti. Il furgoncino tedesco viene eletto a nuova dimora semovente di un popolo che si porta a spasso fin sotto i palchi dei concerti più popolosi. Dal sussiego tedesco alla sfavillante Woodstock, a volte, è questione di un attimo.

Un Van amato dal cinema

Quando l’onda Hippie gradualmente si appiattisce, il Van inizia un’inevitabile discesa in termini di popolarità. Così la sua terza versione diventa di nuovo più funzionale ai lavoratori: il T3 sfoggia un frontale quasi identico alla prima generazione della Golf, con una griglia che si sviluppa principalmente in lunghezza, accogliendo i due fanali rotondi.

Anche se la produzione decelera, fino ad interrompersi, il fascino del Transporter non viene infilato in naftalina. Il mercato vintage è ancora notevolmente florido e le sue forme risultano utili in molteplici pellicole. Il Van è - per dire - una bolla di luce gialla e tossicchiante in "Little Miss Sunshine", ma anche il furgone che insegue Marty McFly e il professore in “Ritorno al futuro”. La sua versatilità buca senza indugi lo schermo, facendone un protagonista aggiunto.

Van

Oggi gli eredi di Ben Pon hanno agitato bene quel sogno, traducendolo in suggestione

elettrica. Che poi è, forse, la direzione che sta prendendo il mondo. Servirà ancora tempo per saperlo. Comunque vadano le cose, qualunque motore lo sospinga, il Bulli è pronto a tinteggiare di felicità ogni strada futura.

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