Mourinho e gli altri Quella maledizione della Bestia nera

Se il rivale ti batte sempre. Quando è il più forte... e quando non lo è. Special one poco "special" se incontra Guardiola, la Germania stregata dagli azzurri, Federer che patisce Nadal

Mourinho e gli altri  Quella maledizione della Bestia nera

Non è neppure più rabbia. Quella che ti scava dentro è una frustrazione quasi senza più voce. Quando ancora una volta è finita e tu stai lì con il capo basso, gli oc­chi spenti e la mano che stringi per dove­re è quella di lui, dell’altro, della tua bestia nera,l’unico desiderio che hai è di andare a dormire. Il re­sto non conta. Non conta che sei José Mourinho da Setùbal e hai urlato in fac­cia al mondo di essere lo Special One e il mondo bene o male ti ha creduto. Non basta. Non basta perché il señor Peppe Guardiola ancora una volta se ne va via dal Bernabeu,insieme all’al­tro, il piccoletto, la pulce, con il sorriso di chi si sente la metafisica del calcio. Sempre così.

Nove partite e nessuna vitto­ria, al massimo due miseri pareggi. Che fai in questi casi? Lo insulti? Lo cancelli? No, niente. Ormai stai zitto, con la tua im­potenza che non va via neppure dopo la doccia. Per poi ricominciare a inventarsi qualcosa, una cavolo di alchimia tattica, migliore dell’ultima, quell’Altintop schierato a sorpresa a chiudere invano le mura, contro la lenta ragnatela di passag­gi che il Barça ha in testa. Serve di più e al­lora guardi la fotografia in nero azzurro, quando la Pulce e il Peppe furono strega­ti da un terzino nero chiamato Eto’o.

La verità è che le bestie nere esistono e non puoi farci nulla. Esistono perfino quando sei molto più forte, figurati quan­do siete due mezzi invincibili. È la legge dello sport. Prima o poi incontri qualcu­no che segna il tuo limite, la tua nemesi, quella bastarda vendetta degli dei.

Per il Brasile è la Francia.Per l’Italia del Volley è l’Olanda. Per gli americani del baseball è Cuba. Per la scozia del Rugby l’Italia. E nessuno sa essere così spietato davanti ai tedeschi come gli azzurri.Tut­to forse nasce da quel leggendario 4 a 3 al­l’Atzeca, quando Boninsegna sportellò spalla a spalla con Vogts e poi servì la pal­la al piatto di Rivera. Gol, braccia alzate, partita del secolo. Ma la storia poi non fi­nì lì. Arrivò l’urlo di Tardelli e i due lampi di Grosso e Del Piero a casa dei tedeschi, anche lì ai supplementari.

Qualche volta le bestie nere te le allevi in casa. Sono i figli di uno dei tuoi eroi. Bruno Conti ha regalato alla Roma anni di corse, dribbling e magie. Il figlio Danie­le è tornato un giorno a chiederne il prez­zo. Per cinque volte ha ucciso i gialloros­si, con il padre in panchina che non sape­va da che parte del cuore guardare.

Quando incontri la tua vendetta la vita comincia a cambiare. Ne sa qualcosa Ro­ger Federer dalla prima volta che si ritro­vò di fronte un muro vestito da ragazzo delle ramblas . Si chiama Rafael Nadal e ogni volta lo svizzero scoprì contro di lui le sue umane debolezze, sulla terra, sul cemento, perfino sull’erba di Wimble­don. Maratone infinite e infinite magie che si spezzavano al di là della rete, ogni volta il ragazzo rispondeva, come se nul­la fosse, come se il braccio di Federer avesse perso la scintilla divina. È da allora che Roger è diventa­to un campione come gli altri.

Ha continuato a vincere, ma non è più stato il tennis. Tutto que­sto Borg lo capì la prima volta che in­contrò Panatta al Roland Garros, tan­to da diventare amici. Quel talento in­dolente faceva paura al robot svedese. Non era più forte, solo che seguiva rotte non identificate. Qualcuno è riuscito a diventare gran­de solo abbattendo la sua bestia nera.

Co­me accadde a Michael Jordan in una not­te del 1991, quando finalmente annientò l’ombra dei Detroit Pistons. Dopo quat­tro sconfitte i Bulls riuscirono a vincere. Anzi, di più. Li umiliarono al punto che i Pistons lasciarono il campo alcuni secon­di prima della fine. Resa totale.

Ma per lo Special One c’è anche un’altra via d’usci­ta: resistere. Come fece Vitas Gerulaitis dopo sedici sconfitte con Borg. Vinse. E la­sciò ai posteri questa frase: «Non esiste nessuno al mondo che può battere Vitas Gerulaitis 17 volte di fila».

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