Francesco Seghezzi è il direttore della Fondazione Adapt, il centro studi fondato dal professor Marco Biagi specializzato nelle ricerche su legislazione del lavoro e relazioni industriali. A suo giudizio il lavoro ombra è un campo dai contorni ancora indefiniti.
Esistono stime sui lavori ombra?
«No. Il confine tra il lavoro ombra e la vita privata è molto sottile. Rifornirsi al self-service può essere un lavoro ombra, ma se lo faccio di notte non lo è: pochissimi distributori hanno benzinai 24 ore su 24 perché non è remunerativo per il gestore».
Il fenomeno tuttavia appare in aumento.
«Questo sì, grazie al crescente utilizzo di internet e alla possibilità di accedere in ogni momento alla Rete con vari strumenti. Una volta c'era gente pagata per valutare i ristoranti, oggi appena usciti da un locale si lascia la recensione su Tripadvisor facendo un enorme favore alla piattaforma, alla quale costerebbe un'enormità pagare persone per creare un database così capillare».
Nessuno si pone il problema di remunerare questo lavoro?
«Qualcosa si muove. Google per esempio premia chi carica foto dei locali più frequentati o ne fornisce gli orari, ma si tratta di crediti per prodotti Google. In ogni caso si comincia a capire che ci dev'essere un riconoscimento, un do ut des, una logica di scambio. Certi servizi sono veri lavori».
In questo modo non si perdono taluni lavori che fungevano anche da ascensore sociale?
«La tecnologia si lega alla produttività. Facendo un bonifico da casa, molti non sentono di fare il cassiere della banca ma di compiere un'azione con tutta comodità dove, quando e come preferiscono. Spariscono i lavori che non hanno più ragione economica di esistere. È sempre successo così nella storia: le lavatrici hanno tolto lavoro alle lavandaie ma hanno dato impiego a molti più operai».
Oggi però i disoccupati sono sempre più numerosi.
«In numeri assoluti nel mondo, in Europa, nei Paesi Ocse e anche in Italia non ci sono mai stati così tanti occupati. Siamo a livelli record. La tecnologia non toglie posti. Semmai il problema è la qualità di questi posti. Ma se non si migliora la qualità del lavoro si frena la tecnologia».
L'Italia di oggi non disprezza un po' troppo il lavoro? Piuttosto che riqualificare i disoccupati si preferisce assegnare loro un sussidio.
«È una soluzione che non condivido. Non è sostenibile economicamente perché danneggia il reddito della fascia produttiva della forza lavoro. È facile ma è anti umano. Si dà per scontato che non tutti i lavoratori possano arrivare a un certo livello di competenze, professionalità e produttività, ed è lo Stato non il mercato a stabilire chi non può essere riconvertito dal punto di vista lavorativo.
Ho visto fior di aziende riqualificare cinquantenni in un modo che non avrei mai detto. È complicato, ma è possibile farlo, anzi si deve. Il reddito di cittadinanza è una sconfitta: vuol dire che abbiamo perso la battaglia contro la tecnologia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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