
La bellezza salva il mondo anche chiusi in carcere per chi desidera inseguirla come strada per potersi reinserire in società. Accade con il progetto «Superfici dell'immaginazione. Arte e condivisione nella casa di reclusione di Milano Opera», grazie al quale l'artista Carlo Galli collaborerà con cinque detenuti per realizzare un'opera di ispirazione optical Anni Sessanta-Settanta, sessanta metri di larghezza (due metri e settantacinque di altezza), che sarà esposta all'ingresso di Opera, nell'area in cui transitano gli operatori sociali e dove sono attese anche visite delle scolaresche.
La base di quest'opera di arte pubblica esiste già: è il vinile adesivo in strisce bianche e nere, realizzato anche usando tecniche digitali, sui quali i discenti aggiungeranno il proprio lavoro artistico manuale. Cinque lezioni di Galli faranno da guida a queste persone che sono state scelte e hanno scelto la via di Brera per il ritorno in società. La presentazione del risultato finale avverrà il 20 maggio a Opera e il 26 maggio a Brera, quando i neo artisti racconteranno il lavoro compiuto.
«Non è un'opera di street art, che io aborro, ma un'opera che ha le sue basi nella tradizione di artisti che hanno operato a Brera» è la dichiarazione di intenti del direttore generale della Grande Brera, Angelo Crespi, sponsor «orgoglioso» (anche economico) di questo progetto sociale d'inclusione perché, spiega, lo ritiene di valore dal punto artistico e rispettoso della legge: gli artisti di Opera godono dell'articolo 21, hanno un permesso di lavoro esterno concesso dal magistrato di sorveglianza per azioni di reinserimento.
Alla presentazione, che ha compreso anche una visita dei detenuti alla Pinacoteca accompagnati dal direttore, hanno partecipato Antonella Murolo, vice direttrice di Opera, anche lei convinta assertrice della «bellezza come elemento centrale del reinserimento», Alessandro Pellarin, presidente di Artàmica APS, che segue il progetto sin dall'inizio, il collezionista Claudio Rocca e naturalmente l'artista Carlo Galli, classe 1981, che ha spiegato il senso del lavoro.
«Il progetto nasce da una riflessione sulla percezione del tempo all'interno del carcere, un luogo in cui le ore si dilatano, si contraggono e si sovrappongono in un'esperienza sospesa. Il murale trasformerà questa condizione in un linguaggio visivo: una trama di linee che si stringono, si allungano, si intrecciano, evocando la fluidità e la stratificazione del tempo vissuto» racconta Galli.
Fluidità e stratificazione si riflettono nei materiali scelti, che fondono digitale e analogico. Una sintesi tra elemento umano e tecnologico che vuole essere anche «un ponte tra interno e esterno, il carcere e la società, il segno e il vissuto».
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