Il primo schiaffo della vita, Rupert Murdoch lo ha preso a 80 anni. Fa male, a prescindere da quello che dice o non dice e da quello che dirà o non dirà. Chi non conosce la sconfitta fa fatica a perdere. Ko, per uno che il destino non aveva mai battuto.
S’è spezzata una corda: chiude un suo giornale, una delle sue macchine da soldi, un pezzo di impero immenso. Lui e il suo mondo sconfitti dall’azzardo: quattromila persone intercettate per creare notizie e documentare ipotetici scandali sono troppo per chiunque, sono una follia che non può più gestire neppure uno che il pianeta chiama da decenni «lo squalo». Il News of the world è una goccia nel mare della multinazionale dell’informazione murdocchiana. Ma qui, ora, contano i simboli. Perché quella testata fu la prima che Rupert comprò in Inghilterra. Era un ricco signore per l’Oceania, poi nel 1969 acquistò il «Notw» e cominciò la scalata al pianeta. Prese l’Inghilterra, poi l’America, poi tornò in Europa, poi in Asia. In alto, in alto, in alto. E ora? È come se stesse per cominciare un’altra storia, dallo stesso punto, ma al contrario. Suggestioni, sì. D’altronde le suggestioni hanno alimentato il successo globale di Murdoch. Ecco, il tabloid dal quale partì la scalata al mondo chiude per colpa, non perché non si regga economicamente. Con tre milioni e mezzo di copie vendute ogni settimana è il giornale più letto di lingua inglese nel mondo: non è una crisi finanziaria, ma d’identità. Chiude perché «hanno sbagliato», come ha detto ieri James, l’erede del magnate australiano. Una rete di spioni che fabbricava notizie invece di raccontarle non è un giornale, neanche scandalistico e gossipparo. Si chiude bottega ed è un colpo all’immagine e al cuore del colosso economico-mediatico che stava per fare la più importante acquisizione della sua storia: oggi NewsCorp avrebbe dovuto avere il via libera definitivo all’affare BSkyB. Murdoch già possiede il 39,1% della piattaforma satellitare che entra nelle case di 10 milioni di britannici: adesso ha messo sul piatto 8,3 miliardi di euro per prendersi il restate 61%. Un business gigante, considerato che comprarsi il Wall Street Journal, gli era costato 3,5 miliardi. BSkyB è diventata un caso. Un’operazione discussa e complicata, contestata da mezzo parlamento inglese e da tutto il resto del mondo dei media britannici. Si sarebbe fatta lo stesso, ma lo scandalo l’ha bloccata: il governo l’ha rimandata almeno fino a settembre.
Chiudere il News of the world è un gesto distensivo, allora. Come dire: noi ricominciamo a fare i bravi, ma voi lasciateci fare quell’acquisizione. La verità è che l’affare ora è in dubbio. Il che alimenta tensioni e potenziali nevrosi: c’è un pezzo di Murdoch in ogni Paese e in questo momento non c’è alcuno degli ingranaggi del sistema che non tema qualcosa. L’Italia non è toccata, certo. Eppure è ovvio che tra i dipendenti, i dirigenti, lo staff ci sia preoccupazione. Anche qui, a prescindere da quello che dicono o diranno. Tutto si tiene, tutto si lega: Oceania, Europa, America, Asia. Scricchiola la solidità strutturale dell’impero, non il suo bilancio. La storia del News of the world è una scoppola che arriva in un momento in cui «lo squalo» si sta riprendendo da altri due schiaffetti: quello di MySpace, il social network comprato per 580 milioni di dollari e rivenduto a 35, e quello di The Daily, il primo quotidiano al mondo creato solo per l’iPad. Avrebbe dovuto essere un successo, invece per ora è un flop. Uno-due, quindi. E adesso il tre: solo che MySpace e Daily sono due sconfitte economiche, quella del News of the world è una batosta culturale e personale. Sbagliare investimenti fa parte del rischio di un imprenditore, chiudere un giornale che macina milioni, invece, è la sconfitta di un editore. È questa la differenza ed è enorme.
Si leccherà la ferita, Murdoch.
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