Si fa anticipare - nell'aula Magna dell'Università Statale di Milano - dal Coro Alpino Orobica che intona Bella ciao. Così a 83 anni il maestrone Francesco Guccini presenta il suo disco Canzoni da osteria, l'album che segue Canzoni da intorto, che l'anno scorso ha venduto 51mila copie diventando il disco fisico più venduto dell'anno. Un altro pugno di canzoni popolari da mezzo mondo che sono il naturale seguito del precedente album. Un lavoro folk nel senso nobile del termine; Guccini, che aveva in mente una quarantina di brani, è stato molto combattuto nella scelta ma ha deciso di partire con Bella ciao e di passare da classici catalani e dal classico ebraico Hava Nagila del 1918.
Un disco impegnato ma ricco di suggestioni. «I cantautori del resto - dice con la solita tagliente ironia - hanno cambiato la musica d'autore, soprattutto in Italia e Spagna per non parlare degli Stati Uniti, non così in Francia». Molti sono incuriositi e affascinati dalla sua mitica vita notturna bolognese. «Eravamo all'Università di Bologna con un sacco di studenti stranieri. Eravamo di sinistra, di destra non c'era nessuno ma non appoggiavamo le lotte degli operai. Eravamo contro il Vietnam e per le battaglie civili, contro il divorzio e per il diritto di aborto, per cui ho anche tenuto alcuni concerti. Anche oggi faccio ciò che posso. Bella ciao, che non è un canto partigiano ma una canzone delle mondine, l'ho cantata per le donne dell'Iran con una strofa in farsi». E la sua passione per le osterie? «È una leggenda, io non sono un esperto si osterie e ne ho frequentate solo tre. Noi le animavamo perché le osterie in realtà sono luoghi tristissimi, pieni di anziani ubriachi e soli. La verità è che Bologna era una città da vivere 24 ore al giorno. Al ristorante della Stazione si poteva mangiare un piatto di lasagne anche alle 4 di notte e noi ci andavamo sempre prima dell'alba. Anche quelli che andavano a lavorare di lì a poco. Bologna era detta blassanott, ovvero masticanotte».
Se gli si chiede di definire le sue ballate si schermisce: «Potremmo definirle canzoni utili, cioè che servono a qualcosa, o che raccontano il vivere». Arriva quindi a proposito una stoccata alla musica d'antan. «Le canzoni del primo dopoguerra erano ignobili, con testi assurdi e illogici come La casetta in Canada. Negli anni Venti e Trenta invece c'erano pezzi bellissimi come Vipera o Addio tabarin». Un Guccini a tutto campo quindi, che ha anche appena pubblicato un nuovo romanzo. «Ho cominciato a cantare a 5 anni inventando le parole di Pistol Packin' Mama di Bing Crosby e ho iniziato a leggere a 5 anni Pinocchio, un libro tutt'altro che per bambini. Da piccolo mi sdraiavo sul letto e leggevo di tutto mangiando mele». Con un personaggio così esplosivo c'è da aspettarsi un terzo capitolo? «Non credo, se c'è da stancarsi come oggi», risponde ineffabile. Nonostante i problemi di vista, è in piena forma, tagliente, simpatico, sornione, curioso di tutto. Anni fa scrisse Canzone delle osterie di fuori porta fustigando «la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta... Cadon come foglie o gli ubriachi sulle strade che hanno scelto».
Cattivissimo, ma Canzoni da osteria non è un ulteriore rivincita su quel periodo. «No, non ce l'ho con nessuno. Mi riferivo a una osteria in particolare e a un periodo storico un po' fragile, direi molliccio. Le mie osterie preferite erano l'Osteria dei Poeti, dal nome suggestivo ma si chiamava così dal nome della famiglia Poeti; l'Osteria da Gandolfo, dove c'era il Sangiovese a 25 lire più un uovo sodo e un'osteria di frati domenicani. Io suonavo con Deborah Kooperman alla chitarra (una delle prime chitarriste a portare lo stile chitarristico finger picking in Italia, come si nota nel brano Un altro giorno è andato di Guccini sul disco L'isola non trovata, ndr) e quando mi andava bene tiravo su mille lire; i primi concerti con Deborah guadagnavamo 15mila lire da dividere con chi saliva sul palco con noi».
Guccini è moderno anche se è lontano dalle mode e dall'attualità musicale. «Purtroppo non posso più leggere. Un tempo leggevo i libri che lasciavano gli inquilini cui i miei affittavano casa. Oggi mi arrivano a casa valanghe di libri e non posso leggerli, ma la musica è un'altra cosa. Quella moderna non la ascolto e non mi incuriosisce; ho un magnifico stereo con tutti i long playing in fila ma mi stanco troppo a metterli sul piatto: preferisco rimanere seduto». Non è certo lontano dalla realtà e dal conflitto israelo-palestinese.
«È una guerra assurda che non finirà mai e che parte da molto lontano». Qualcuno lo colpisce a tradimento chiedendogli se proprio non gli piace il digitale e lui risponde andandosene e ridendo: «Non fatemi queste domande che non me le attendo». E se ne va fino alla prossima avv- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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