Botta e risposta sui preti don Abbondio tra curia e procura

La polemica è divampata dopo l’appello lanciato dal pg di Napoli Luigi Riello al mondo della Chiesa affinché vengano chiuse le porte ai camorristi. Ferma la replica dell’arcivescovo Battaglia

Botta e risposta sui preti don Abbondio tra curia e procura

Quel riferimento ai preti novelli don Abbondio, il celebre personaggio letterario debole ed inetto, fatto nei giorni scorsi dal procuratore generale di Napoli Luigi Riello non poteva passare inosservato. Una critica forte a cui la Curia della città partenopea ha risposto in modo deciso. E per farlo è sceso in campo direttamente l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che in una lettera ha spiegato perché quelle critiche fatte da Riello siano ingiuste.

"Conosco una storia nascosta e silenziosa - si legge sul Corriere - per nulla appariscente, poco visibile agli occhi degli uomini e ai riflettori delle telecamere", ha esordito il presule nella missiva che ha voluto inviare "agli uomini e alle donne con le mani sporche di Vangelo, rappresentanti di una Chiesa che quotidianamente la camorra la guarda in faccia, dritta negli occhi e senza piegare la schiena".

Una lettera che rimanda al discorso pronunciato dal procuratore generale lo scorso 20 gennaio e successivamente ripreso nel corso della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. In queste occasioni Riello aveva lanciato un appello al mondo della Chiesa affinché vengano chiuse definitivamente le porte ai camorristi: "Via i don Abbondio dalle parrocchie altrimenti continueremo a vedere mani grondanti sangue che danno offerte che alcuni accettano", aveva dichiarato il pg che poi aveva aggiunto che "la Chiesa deve dire chiaramente ai camorristi e ai loro insospettabili ma individuabili sodali: uscite fuori, qui non c'è posto per voi, non potete commettere atrocità in nome di Dio, i vostri soldi non possono entrare nelle casse delle parrocchie perché grondano sangue e sofferenze. Fine del silenzio, di ogni ambiguità, di ogni condiscendenza... Via i don Abbondio, sì ai cardinal Federigo". Lo stesso Riello aveva però proferito anche parole di elogio e di speranza: "Con un arcivescovo come don Mimmo Battaglia, e insieme a tanti altri sacerdoti coraggiosi come don Tonino Palmese, possiamo voltare finalmente pagina".

Il pensiero, però, pare non essere piaciuto proprio a monsignor Battaglia. Quest’ultimo non solo ha sentito la necessità di ringraziare tutti i religiosi per il loro impegno nel sociale ma ha anche parlato di"preti che in certi territori dove l'unica legge sembra essere quella della sopraffazione e della violenza hanno fatto delle loro parrocchie avamposti credibili e autorevoli in difesa della dignità umana. Preti che dinanzi alla cappa omertosa della sovranità mafiosa non arretrano neanche di un centimetro e propongono in alternativa la logica "eversiva" di spazi comuni da recuperare alla bellezza dello stare insieme, perché la tendenza all'isolamento alimentata dalla paura della camorra si vince solo con il gusto della condivisione e del fare comunità".

"Io lo so - ha scritto ancora l’arcivescovo - che queste storie silenziose e anonime non attenuano per nulla la chiassosa responsabilità per i silenzi di non pochi uomini di Chiesa dinanzi all'arroganza e alla prepotenza della camorra; non voglio negare l'imbarazzante tentativo di un certo pensiero ecclesiastico di sminuire e minimizzare questo problema con la solita affermazione che l'evangelizzazione non può appiattirsi sulla lotta alla mafia, e lungi da me il tentativo di proporre i santini dei preti impegnati, o addirittura di chi ci ha rimesso la vita come don Peppe Diana, come paraventi insanguinati da mostrare all'occorrenza". Battaglia ha spiegato che in coscienza avverte "semplicemente il dovere di restituire merito e onore a quei preti e religiosi che in silenzio vivono il proprio ministero incarnando il Vangelo del 'sì sì, no no'".

Una posizione, questa dell’arcivescovo, netta. A stretto giro è arrivata anche la controreplica del procuratore generale che, intervenendo sula questione, ha negato che esista un contrasto tra le parole da lui pronunciate ed il pensiero contenuto nella lettera scritta dall'arcivescovo.

"Le parole dell'arcivescovo Battaglia si muovono nella mia stessa direzione e le condivido pienamente. Egli stesso ringrazia, alla fine della sua lettera, chi aiuta la Chiesa ad essere sempre più fedele al Vangelo", ha spiegato Riello che ha voluto chiarire di aver parlato dei "don Abbondio, che esistono (ed anche don Mimmo fa riferimento a silenzi di non pochi uomini di Chiesa di fronte alla prepotenza dei camorristi), senza dimenticare i preti coraggio, come don Diana e don Puglisi, che sono stati brutalmente assassinati da mafiosi, ma anche i tanti sacerdoti che operano nella nostra terra o nel nostro martoriato Sud e che non solo non si girano dall'altra parte, ma come scrive don Mimmo non arretrano di un centimetro dinanzi a quella che egli efficacemente definisce la cappa omertosa della sovranità mafiosa".

Il pg, che in passato ha più volte espresso la propria stima per Battaglia, ha voluto evidenziare come si importante parlare del concetto di "sovranità", anche se con connotazioni decisamente diverse da quelle politiche, anche in tema di sicurezza: "Se in alcune zone è sovrana la mafia e non lo Stato, il diavolo e non il bene, occorre agire, Stato e Chiesa all'unisono, per riconquistare quei territori. Vedo sacerdoti e magistrati molto assimilabili, sia pure su fronti diversi. Don Mimmo scrive che abbiamo bisogno di quei religiosi che "in silenzio vivono il proprio ministero incarnando il Vangelo" ed io aggiungo che noi abbiamo bisogno di magistrati coraggiosi che, in queste terre difficili, esercitino con dignità e con la schiena dritta la propria funzione, anch' essi in silenzio, senza pavoneggiarsi sotto le luci della ribalta".

Per Riello c’è bisogno di persone che agiscono e “non di primedonne. Non a caso, il nostro arcivescovo parla di una storia "nascosta e silenziosa, per nulla appariscente", di preti innanzi ai quali ci leviamo il cappello”.

Apprezzamenti per il ruolo importante di molti uomini di fede. Eppure il pg non rinnega le critiche ad una parte, seppur piccola, della Chiesa: "Certo, non possiamo ignorare che la quasi totalità dei mafiosi e dei camorristi non solo si dichiara cattolica, ma sia non di rado anche osservante, nel senso che si avvicina ai sacramenti, non si limita ai riti, oserei dire di fatto divenuti più pagani che spirituali, delle processioni del Santo patrono. Certo, si tratta di una visione distorta e addomesticata della religione, ma esiste e non è una caratteristica di soli rozzi delinquenti, ma anche di criminali di un certo livello culturale: penso ad Aglieri, penso a Galasso".

Riello ha voluto anche rispondere a don Patriciello, sacerdote di frontiera che da anni si batte contro la camorra e per tutelare la vita di chi risiede nella famigerata Terra dei Fuochi, che in un editoriale apparso nei giorni scorsi su Avvenire aveva criticato le parole pronunciate dal pg spiegando, tra le altre cose, che "anche attorno a un camorrista c'è vita: moglie, figli, genitori, fratelli, amici. Non tutti sono suoi complici, alcuni, anzi, sono vittime innocenti delle sue scelte scellerate" e che "certe parentele possono costarti la vita, di certo te la rovinano. Confondere un camorrista con chi ha la sfortuna di portare lo stesso cognome, o che rientra, suo malgrado, nella cerchia dei familiari sarebbe imperdonabile".

Riello, a sua volta, ha controreplicato ricordando che "don Patriciello si è domandato come possa fare un sacerdote, magari fresco di seminario, a sapere se chi è entrato in chiesa sia una persona onesta o un camorrista e fa riferimento a persone che avevano commesso reati e hanno chiesto i sacramenti, pentendosi del male fatto".

Secondo il pg la discussione è nata a causa di un fraintendimento. Riello, infatti, precisa di non mettere in discussione il fatto che si possano negare i sacramenti a chi si ravvede e ricorda che la Chiesa "conosce il perdono, ovviamente per chi si pente. La confessione serve a questo. Ma dinanzi agli irriducibili, prevede il castigo. Cosa è l'inferno se non l'ergastolo delle anime? E lì non c'è la liberazione condizionale, c'è la dannazione eterna. È chiaro che nessuno pretende che il sacerdote si mette alla porta della chiesa a chiedere il green pass morale a chi entra. Io mi riferivo e mi riferisco all'atteggiamento della Chiesa che nega i sacramenti ad esempio agli divorziati, ma li impartisce al camorristi".

Riello diveta specifico tanto che fa alcuni esempi. Tra questi vi è la vicenda dei quadri donati dal boss Lorenzo Nuvoletta ad una chiesa di Marano. Opere che di recente proprio l’arcivescovo di Napoli ha fatto rimuovere. "Chi accettò i quadri da Lorenzo Nuvoletta, fatti rimuovere da don Mimmo Battaglia, credeva forse di avere dinanzi un benefattore dell'umanità o sapeva che quel signore era il capo della camorra di quel paese dove tutti si conoscono?". Non solo.

Perché il pg ricorda anche altri episodi: "E che dire dei matrimoni di boss della camorra o della mafia sposatisi in chiesa? Di Ilde Terracciano, notoriamente costretta a sposare un camorrista di Ottaviano, da costui violentata e sposatasi nella chiesa di San Gennarello di Ottaviano negli anni 80? O della prima comunione del figlio di Valentino Gionta, raccontata nel film Fortapasc di Marco Risi con il camorrista e il figlio a bordo di una carrozza e il sindaco di Torre Annunziata al balcone del municipio ad ossequiarlo?”.

Riello fa, infine, un parallelismo tra magistratura e Chiesa:"Ci sono magistrati capaci ed incapaci. Lo stesso vale per la Chiesa".

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