Da Napolitano a Pier Ferdinando il grande ritorno del «politichese»

RomaRicordate Rashomon? Sì, è roba da cineforum e «dibbattito» stile La corazzata Potemkin, ma sfogliando i giornali di ieri come non pensare al celebre film giapponese, la storia di un delitto raccontata dai quattro protagonisti in quattro versioni diverse, tutte compatibili ma profondamente divergenti? In particolare i titoli sul presidente Giorgio Napolitano e il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini. Quest’ultimo reduce dall’incontro con Silvio Berlusconi, in ampia ed esaustiva conferenza stampa, tale dunque da poter chiarire ogni particolare, senza lasciar spazi a ombre e dubbi. Il capo dello Stato invece, addirittura per iscritto in una lettera all’Anm, il sindacato dei magistrati: dunque carta canta, basta leggere. Niente da fare. Ogni giornale ha ascoltato da Casini e letto da Napolitano verità diverse. E il dilemma che si apre, da inquietare anche la memoria di Akira Kurosawa, è se la colpa ricada sui giornali oppure sia dei politici stessi, in questo caso di Napolitano e Casini, che vuoi per scelta o per pulsione inveterata, son tornati al politichese della Prima repubblica, usano un linguaggio quanto meno sfumato se non ambiguo, tale da accontentare un po’ tutti e venir digerito senza crampi.
Cerchiobottismo dei nostri campioni, o spregiudicatezza della carta stampata? Forse un concorso di colpa, con prevalenza di responsabilità dei primi che in questi ultimi anni si son visti autorizzati al ritorno del linguaggio antico per via di quell’imperante seppur già tramontato veltronismo del «ma anche». Insomma, l’incapacità atavica di dire un sì netto senza aggiungervi un però o un piccolo no a corollario, e viceversa. E tu, povero lettore, vuoi per colpa del personaggio o del tuo quotidiano preferito, non riesci a soppesare quale sia la cosa più importante che Casini o Napolitano abbiano detto. A dimostrazione che in politica ancor più che nella vita, tutto è elastico e accomodabile. La riprova, sta nei titoli di ieri.
Muoviamo da Casini, che aveva avuto un «cordiale» colloquio col premier dopo un anno e mezzo di gelo. Prima fra tutte Repubblica, che titola come «Casini rivede Berlusconi» per dirgli seccamente «alle regionali Udc da sola». Per doverosa par condicio, il titolone in prima del nostro giornale che annuncia il «pronto soccorso di Casini al Cavaliere», parla di «vertice ok» e «disgelo tra gli ex alleati». Figurarsi l’Unità, «Casini dice no al Cavaliere», e nel sommario «i capi dell’Udc resistono a Berlusconi». A contraltare il Secolo d’Italia, «Casini incontra Berlusconi e apre sulla giustizia». Secondo il Riformista invece, «Casini non concede prescrizioni», con un approfondimento ove si spiega che «Pier si prende la rivincita, ora è sulla riva del fiume». I titoli di Libero informano che «Casini sorride e si lascia corteggiare», è così palese la marcia di avvicinamento, se non proprio il suo ritorno, ad Arcore, che un allarmato «Rutelli avvisa il nuovo amico: no alla politica dei due forni». Ancora il Manifesto, sicuro che «Casini resta al centro» e «il premier non convince l’Udc», al quale fa da contraltare il Tempo, altrettanto sicuro che invece «c’è la schiarita».
A chi dar retta, vorresti sapere? Sta zitto e nuota, perché anche il Corrierone si barcamena tra il cerchio e la botte titolando «Berlusconi-Casini, l’incontro del disgelo - Ma sulle Regionali l’Udc insiste: da soli». Ci si aspetterebbe la voce della verità definitiva dal Messaggero, giornale di famiglia anch’esso, ma forse è proprio Casini che voleva distribuir gli accenti a destra e a manca, se gli fan dire a Berlusconi «andiamo da soli» «ma siamo pronti al confronto».
Rieccoci, siamo tornati al futuro delle «convergenze parallele» e del «partito di lotta e di governo», della Dc che nel suo ventre accoglieva tutte le anime e del Pci che con una mano partecipava e con l’altra s’opponeva. Insomma, la camera iperbarica per l’inciucio come principio guida. Ve lo ricordate Arnaldo Forlani che parlava, parlava, e quando un giornalista lo interrompeva stupefatto, «segretario, ma non ci ha detto niente», rispondeva serafico: «Ah, se vuole posso andare avanti così ancora per un’ora»? E Aldo Moro, gran cervello e pure gran maestro di contorsioni e ambiguità verbali? Giuseppe Chiarante era un campione di montagne russe, e Franco Rodano raggiungeva vette eccelse nel tenere insieme diavolo ed acqua santa. Senza dimenticare le astrazioni di Ciriaco De Mita davvero degne di un filosofo della Magna Grecia. Sì, Casini ha un buon background.
Con Napolitano poi, va ancora meglio. Per Repubblica il suo «monito sulla giustizia» è rivolto al governo, «no alle riforme di corto respiro», mentre secondo Libero «Napolitano chiede ai giudici di calmarsi». Il Messaggero lo fa equanime, «no a riforme di corto respiro» ma «i giudici accettino il confronto». Il Tempo lo fa deciso coi magistrati, «richiama lo toghe: no allo scontro», e l’Unità deciso col governo, «riforma non occasionale».

Il Corriere per una volta sembra netto e chiaro, perché titola un Napolitano che bacchetta le toghe, «serve il dialogo», e anche quel «no a interventi occasionali o di corto respiro» glielo fa dire all’Anm, non al governo. Però è un errore di chi ha titolato, perché il buon quirinalista nell’articolo lo dice, che quest’ultimo richiamo è per il governo. Oh, il politichese è un’arte.

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