Ricorre oggi il quarantacinquesimo anniversario della triste morte di Peppino Impastato, giovane militante della Democrazia proletaria, giornalista, fondatore di Radio aut, ucciso dalla mafia a Cinisi, in provincia di Palermo, il 9 maggio del 1978 quando aveva 30 anni. Impastato era diventato ormai noto nel suo paese per i suoi ricorrenti attacchi alla mafia e le sue denunce a Cosa nostra, nonostante provenisse da una famiglia d’onore. La sua sete di giustizia lo portò a chiudere completamente ogni rapporto con padre Luigi, anche lui noto esponente mafioso di Cinisi. La sua, come quella di molti giornalisti dell’epoca, era una voce scomoda che denunciava pubblicamente i malaffari di Gaetano Badalamenti, che aveva soprannominato ironicamente "Tano Seduto”. Alcuni brandelli del suo corpo furono trovati sopra a dei binari della ferrovia, c'era del tritolo. Cosa nostra aveva intenzione di far passare la sua morte per un attentato terroristico di stampo comunista fallito. In un primo momento ci riuscì, soltanto grazie all’impegno del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta, la verità venne a galla. “La storia di Peppino Impastato è più attuale che mai - ha detto al Giornale Ismaele La Vardera, vicepresidente della commissione Antimafia dell’Ars - la sua lotta ancora oggi fa rumore. Il fatto che ancora oggi la storia di Peppino metta in crisi certe persone da dimostrazione che il suo ricordo deve continuare nelle nostre menti”.
Ecco la nostra intervista per ilGiornale.it al fratello Giovanni, che da anni si batte per dare giustizia a Peppino.
Che ricordo ha di suo fratello Peppino?
"A 45 anni dal suo assassinio i ricordi sono ancora tanti, anzi direi tantissimi. Mi vengono in mente tanti momenti: quando organizzava le mostre fotografiche, quando si cimentava nelle battaglie politiche, mi ricordo anche i litigi in famiglia, che capitavano spesso. Peppino era impegnato nella lotta alla mafia e nostro padre lo sbatteva frequentemente fuori di casa. Ho anche però ricordi umani, ironici. Come dimenticare quando Peppino durante un carnevale si vestì da clown per intrattenere i bambini del nostro piccolo paese".
Cosa accadde il giorno dopo l’omicidio di suo fratello?
"Subito dopo la morte di Peppino ci sentimmo (io e mia madre n.d.r) come se ci fosse cascata una montagna addosso, non ce l’aspettavamo, nonostante conoscessimo i rischi che mio fratello correva. In quel periodo c’era la campagna elettorale e lui era candidato al consiglio elettorale. Mia madre chiaramente è rimasta traumatizzata dall’accaduto, nonostante nei primi momenti trattenesse le lacrime. Dopo non molto ci siamo resi conto che non avevamo tempo per piangere, bisognava lavorare per dimostrare che Peppino non era un terrorista. Il nostro stato d’animo in quei giorni era pieno d’angoscia".
Avevate che i mafiosi uccidessero anche lei e sua madre?
“Questa paura c’era, non siamo mai stati presuntuosi, anche dopo la morte di Peppino avevamo paura che la mafia ci uccidesse. C’è voluto tanto tempo prima che noi riuscissimo a uscire di casa senza paura che ci sparassero, ma abbiamo comunque continuato a lottare per mio fratello”.
Suo fratello è stato dimenticato?
"Mio fratello non è stato affatto dimenticato. Oggi se ne parla ancora tantissimo, se ne parla molto più di prima, piano piano, con i processi e le condanne siamo riusciti a far emergere la verità".
Lo Stato ha fatto sentire vicinanza alla sua famiglia dopo l’omicidio?
"Dopo un bel po' di tempo. Inizialmente lo Stato revama contro di noi, hanno tentato in tutti i modi di affossare la verità. Dopo la svolta nei processi è cambiato tutto. Per esempio, il procuratore Gaetano Martorana ai tempi aveva fatto passare l'omicidio di mio fratello per un attentato terroristico".
Crede che per la morte di suo fratello ci sia stata giustizia?
"È chiaro. Abbiamo vinto i processi, Gaetano Badalamenti ha ricevuto l'ergastolo e i suoi sottoposti hanno dovuto scontare tren'tanni di carcere, mentre gli esecutori materiali non sono mai stati trovati. Abbiamo ottenuto risultati importantissimi anche se dopo tantissimi anni".
Che effetto le fa vedere così tanti giovani ancora oggi scendere in piazza per ricordare suo fratello?
“È una cosa stupenda. Ancora oggi dopo 45 anni si parla di Peppino e ci sono tantissimi giovani coinvolti. Tanti ragzzi oggi si riconoscono nella sua figura".
Volente o nolente si è dovuto fare carico dell’eredità morale di suo fratello ed ha combattuto molte sue battaglie, a distanza di anni, lo rifarebbe?
"Si lo rifarei senza pensarci. Sicuramente se lui non fosse stato ammazzato io non mi sarei mai impegnato in questa battaglia come sto facendo adesso. Da quando ero solo un ragazzo, avevo 25 anni, ho deciso di dedicare tutte le mie energie per dare giustizia a mio fratello, adesso neho 70, dopo 45 anni di lotte continue".
Quanto è importante raccontare la storia di suo fratello nelle scuole?
"È importante perchè si mantiene sempre viva la memoria ed è importantissimo raccontare la sua storia. Un paese senza memoria non ha futuro".
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