Un flashback sull'abisso delle bestie di Satana: "Il più bel trucco del diavolo"

Nel romanzo di Gianluca Herold, basato sui documenti dei tribunali e sulle testimonianze dei parenti delle vittime, si ripercorre la stagione di omicidi (e suidici) compiuti nel Varesotto tra il ’98 e il 2004

Andrea Volpe delle Bestie di Satana
Andrea Volpe delle Bestie di Satana
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Un viaggio in un inferno costruito a noia, paranoia e stupefacenti. Una discesa in un satanismo d’accatto assemblato coi rottami della cultura heavy metal e la noia della provincia, che i soprannomi rock e da maledetti non riescono a nobilitare nemmeno un poco. Insomma la banalità del male delle Bestie di Satana e la loro scia di morte, i cui contorni non sono nemmeno mai stati chiariti del tutto. Gianluca Herold in Il più bel trucco del diavolo (Rizzoli, pagg. 332, euro 18 e 50) costruisce un romanzo che ruota sulla figura di Andrea Volpe. Un romanzo che è un A sangue freddo padano. La vicenda è tragicamente nota dalla cronaca e dagli atti giudiziari, che per altro Herold ha compulsato a lungo. Chiara Marino, Fabio Tollis, Andrea Bontade, Mariangela Pezzotta: sono le quattro vittime conclamate di un “branco” a vocazione acido-satanista che, a cavallo tra i due millenni, ha seminato morte nel Varesotto. Ma le Bestie di Satana sono sospettate per un totale di 18 tra omicidi e suicidi indotti, tra il ’98 e il 2004: per la maggior parte però non sono state reperite sufficienti prove per ottenere una verità giudiziaria. Vennero infatti condannati solo per tre omicidi e per il suicidio indotto di Andrea Bontade. Una furia assassina coltivata nel vuoto dei paesini tra l’Alto milanese e i laghi, tra le droghe sempre più pesanti, gli abusi familiari, e i locali come il Midnight di Milano o la sala rock della discoteca Nautilus, dove la maggior parte dei ragazzi giocava con l’immaginario metal mentre le “Bestie” ne venivano risucchiate davvero. Difficile dire cosa sia rimasto di tutto ciò in quei giovani che ora sfiorano i 50. Non tutti si sono pentiti in maniera chiara e pubblica di quella catena di violenze: il primo a farlo fu Andrea Volpe, nessuno saprà mai quanto per convenienza processuale e quanto per reale comprensione del tragico gorgo in cui il gruppo si era infilato. Volpe è stata la guida agli inferi di Gianluca Herold, avendo accettato di raccontargli tutta la vicenda. Herold ha messo a confronto la sua narrazione dei fatti con le testimonianze dei parenti delle vittime e le carte dei tribunali e degli inquirenti.

La forma narrativa scelta da Herold - ce la siamo fatta spiegare dall’autore come altre cose nell’intervista che accompagna la recensione - è spesso il flashback: si parte dal presente per andare al 2004, e dal 2004 si risale al 1998, alla scomparsa di due fidanzati, Fabio Tollis e Chiara Marino. La sparizione finì a Chi l’ha visto?. Il padre di Tollis fu il primo a indirizzare le indagini verso il satanismo. Da lì ancora più indietro, a quando il gruppo comincia a formarsi con tutti i parafernalia satanici raccattati tra una copertina di disco, qualche horror e letture in sedicesimo; pentacoli, 666, candele nere, il Necronomicon di Lovecraft preso sul serio, accenni di orge tristanzuole. Ma il patetico divenne mostruoso e Herold racconta il come con una freddezza ammirevole e la scrittura giusta.

Soprattutto mettendo in luce anche il lato umano dei carnefici, che non giustifica nulla, ma spiega molto. Perché l’orrore non è uscito dai dischi, ma dalle vite vuote che vivevano e che le droghe non potevano riempire.

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